Joseph Blatter, il totem nero che non vuole proteste

joseph_blatterJoseph Blatter firma il suo manifesto politico sulla contestazione. Un “patto leonino” con cui chiedere al popolo e allo spazio, ma senza che il popolo e lo spazio chiedano al calcio.

Ha dichiarato, a proposito delle accese manifestazioni di protesta, concomitanti con lo svolgimento della Confederations Cup in Brasile, che il calcio non può essere strumento di rivendicazioni.

Il padrone del pallone planetario, che ormai da tanto tempo si diverte a fare il bello e cattivo tempo, talvolta in inquieta alternanza con qualche altro burocrate delle faccende calcistiche, ha sbottato sull’eventualità e sull’accaduto, il già accaduto, di far sì che il calcio sia pure voce dissonante dell’altro lato delle cose. Il dark side football bandito dal suo regno, dal regno di Joseph il censore.

Seguiremo tutti il beauty soccer, quello uscito dai centri estetici degli appalti e delle multinazionali, quello finito dentro la cosmesi delle ambasce finanziarie e nel calderone dei lavori pubblici che più pubblici non si può.

“Piacere, sono lieto di presentarmi. Sono il pallone e di te faccio e dico quello che voglio, ma tu no. Tu non puoi usarmi. Attraverso il mio corpo elegante e prefetto passano solo le tentazioni, i sogni venduti, le spasimanti e l’artificio. Tenete lontano il reale da me”. Così la immagino, la palla di cuoio che si presenta al mondo col suo nuovo look da star system e il suo verbo attinto dall’ultima delle dive snob della Hollywood peggiore, quella che non sa nemmeno recitare.

Quanto è commovente Joseph dal cuore d’oro ergersi ad avvocato difensore dell’imbarazzata Dilma Rousseff, l’ex impavida guerrigliera alle prese con la protesta brasiliana, sempre alle porte di questo mondiale che porta con sé un numero non ben precisato di imbarazzi.

Il calcio non è luogo di protesta, direbbe qualcuno. E allora vadano a quel paese una parte consistente della sua storia, dei suoi personaggi più affascinanti.

Qualcuno avvisi il signor Blatter, anche se lo sa meglio di chiunque altro, che c’è un fair play che si chiama contestazione, soprattutto quando è legittima, che c’è un “respect” che si chiama riconoscimento dei diritti umani, laddove invece le ruspe piombano a violare spazi antichi e indifesi, che, pure se a torto, se il calcio è una cosa impopolare, e del popolo ha bisogno, soprattutto delle sue pratiche e delle sue incondizionate adesioni, è altrettanto vero che bisogna prendersi la reazione, pure se strumentale, del momento in cui il popolo non accetta più la parte impopolare.

Brutta cosa quando certi figuri senatoriali rimuovono il gioco dalle cose serie e la serietà dal gioco. Operazioni scomposte e sgarbate, diciamo così. Congiura al contrario, che si è già consumata, inutilmente, e adesso si rivela pure inefficace.

Sia consegnato ai sognatori, quel pallone indigesto ai doppiopetto della politica e delle federazioni. Loro, al massimo, sono sgraditi comprimari.

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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