L’ennesimo pesante harakiri di un Napoli che si complica ancora troppo spesso la vita da solo

L’amarezza dell’eliminazione del Napoli in Coppa Italia sta tutta nello sguardo di chi era al “San Paolo”. In quella festa degli ospiti che hanno osato profanare il tempio partenopeo ormai sempre più allo sbando, depredato ed espugnato. Sta in quel messaggio pieno di delusione arrivato da parte di chi ci credeva davvero, di chi sperava in una reazione, in un impeto d’orgoglio. E’ quello sfogo a fine partita da chi è rimasto a lungo in disparte ma ora fa la voce grossa, con un mea culpa di un genitore forse reo di aver tollerato troppo le “sbandate” dei propri figli, in un silenzio assenso poi diventato pericoloso e quasi letale.

Non si può sempre vincere, questo è indubbio. Ci sono anche le avversarie che meritano, gli episodi, la fatalità. Alzare al cielo due Coppe Italia negli ultimi tre anni arrivando poi in semifinale in questa stagione è già un ottimo risultato ma non ora, non quando si era sull’orlo del precipizio in una fragile instabilità. L’ultima spintarella, quella fatale, l’ha data Lulic che, in un sol colpo, ha fatto crollare sogni, speranze, fiducia e quel briciolo di imperituro ottimismo, svanito nel nulla e già lontano dall’ombra del Vesuvio. Se vi farà ritorno non vi è dato ancora saperlo, ma un appello sarà fatto domenica alle 15 quando dovrà essere ancora il campo a parlare, per un mese che può definirsi sia ancora di salvezza che condanna finale.

Fa rabbia, perché quello di ieri sera è stato il più classico dei harakiri. Un suicidio in grande stile insomma, tra occasioni create e non concretizzate, cambi discutibili, atteggiamento errato, imprecisione e si, anche un po’ di sfortuna. Tutte situazioni con le quali il Napoli sta combattendo da circa sei settimane e che si speravano potessero essere quanto prima superate. Ma inoltre, quello di ieri è stato persino solo l’ultimo di una serie di harakiri made in Naples. Da Bilbao passando per Milano, Torino e soffermandosi spesso al “San Paolo”, Higuain e compagni si sono costantemente complicati la vita da soli, in situazioni sulla carta più che a proprio favore. Un dato inquietante, ancor più parlando di campioni di un certo calibro.

Cosa manca quindi? Concentrazione, motivazioni, la giusta spinta? O la tanto decantata professionalità unita e mista all’orgoglio? Forse si, ma non solo. L’elenco dettagliato lo scopriremo solo a fine stagione. Fatto sta che ora non si può sbagliare. Anche se il giocattolo è rotto, anche se c’è molto da capire e da lavorare. Ora c’è solo da rialzarsi e vincere, senza più scuse.

Alessia Bartiromo
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