Una panchina che si fa valere, anche le sostituzioni sorridono al Napoli

“Arbitro, cambio”. Di giocatori. Spesso pure del destino. Si alza la lavagnetta, qualcuno sbuffa: nessuno vorrebbe mai uscire. Poi però c’è pure chi zampetta felice. E corre veloce. Via la pettorina, via tutto. Anche la tristezza della panchina. Le ultime indicazioni, i rituali scaramantici di ognuno, la stretta di mano al compagno che esce, un sorso d’acqua e il campo è lì, davanti. Come l’occasione. Da sfruttare, da non perdere. Un po’ anche meritare. E’ il calcio, che bellezza. Uguale dappertutto. Ancor più nelle grandi squadre. Panchine lunghe. E campioni costretti ogni tanto ad aspettare il proprio momento. La sostituzione estasi e tormento di ogni allenatore. Sofferta, arguta, azzardata, obbligata, scontata. Di sicuro geniale quando cambia davvero la partita. E la indirizza, la orienta, qualche volta la chiude. Dries Mertens con la Juve ha messo il sigillo. Era il primo vero pallone che giocava. Nell’aria c’era ancora l’eco del boato per Hamsik: fuori il 17, dentro il 14. Il numero magico. Quella di maglia e soprattutto di volte che Mertens avrebbe voluto che lo speaker del San Paolo urlasse il suo nome per un gol. Detto, fatto. Quasi. Decibel altissimi. Urla nel cielo. Tre minuti di partita e il capolavoro. La potenza inversamente proporzionale ai muscoli. L’agilità, invece, ai dolori alla caviglia. Stop e torsione del corpo. Marchisio smarrito. La difesa tutta in ansia. Finte, pallone spostato e il destro secco, angolato, imprendibile. Pure per Buffon. Gigante pure lui. Napoli-Juve 2-0. L’apoteosi. Il delirio dei cinquantamila, l’esultanza di Mertens e l’orgoglio, legittimo, di Rafa Benitez. Il gol è pure suo. Costruito. Forse immaginato.

MOSSE DECISIVE. Due cambi perfetti. Vincenti. Uno dietro l’altro. Prima Pandev. Per l’assist. Dopo Mertens. Per la rete. Decisivo il belga. Entra e fa la differenza. Questione di fisico e di testa. Di approccio. Era già accaduto a Roma, semifinale d’andata di Coppa Italia. Stessa sostituzione, stessa storia. Fuori Hamsik ed ecco lui. Un lampo. Tecnica, prepotenza e il rimpallo giusto. Due a due. E’ il pari. Ma non è finita. Segna ancora Gervinho. La rimonta si fa al San Paolo. Con Maradona in tribuna. L’avrebbe anche giocata Diego, non poteva. Possono entrare solo quelli della panchina. E spesso sono determinanti. Insigne l’altro titolare anche quando sta fuori. Entra ed è subito in partita. Per due volte (subito) anche in gol. A Dortmund l’illusione durò un momento. Reus su rigore, Blaszczykowski in contropiede. Due a zero Borussia. Serviva un guizzo. Un’intuizione. Doppia. Dentro e fuori dal campo. Benitez chiama Insigne. E lui risponde. Sinistro preciso, un bacio al palo e due a uno. Passeranno i tedeschi. Gioia repressa. L’esaltazione sarà tutta al Bentegodi. Un gol atteso da troppo. E perciò da festeggiare. Poi al Verona. In trasferta. L’esultanza da scugnizzo fiero l’immagine da copertina del 3-0. Era la prima rete in campionato. E la prima volta non si scorda mai. Za(m)pata letale a Marsiglia. Duvan entra e cambia, anzi sfrutta anche il vento. Tiro a giro, maligno, beffardo. Spazzati via gli avversari e le perplessità. L’Europa vista dalla panchina è uno spettacolo. Zapata nel tabellino dei marcatori e delle sostituzioni pure col Porto. Gol in spaccata. Pronto, carico, caldo. Come il San Paolo con chi entra dalla panchina. Come Callejon contro l’Atalanta. Tiro mancino imparabile. La formazione titolare è spesso un “sinistro” presagio…

FONTE Corriere dello Sport

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