L’editoriale di Alessia Bartiromo: “…Se fossi nata dieci anni prima dello scudetto”

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Una giornata come tante, forse più uggiosa e piovosa del solito e per me che sono metereopatica è davvero un dramma. Una mattinata usuale, passata tra lavoro, articoli ed il solito giro di bacheche su Facebook, ormai una vera dipendenza, quando una foto in bianco e nero attira la mia attenzione: è Diego Armando Maradona nel fior fiore della sua giovinezza, mentre esulta ad una delle innumerevoli reti siglate con la maglia del suo Napoli, che ormai è diventato anche il mio. Per ogni appassionato di calcio che si rispetti per di più di origini napoletane, fa parte del proprio dna adorare il Pibe di Oro ed anche se non si sono vissute le sue gesta in prima persona per ragioni biografiche. Per le nuove leve, è un onere ed un onore istruirsi con dvd e videocassette per colmare i vuoti delle imprese più belle del Napoli di un tempo, portando alla mente quando il San Paolo non aveva la copertura, i cori che si cantavano venticinque anni fa, l’emozione di ritrovarsi finalmente sul tetto d’Italia. Ciò che mi ha sempre appassionato di più però, sono i racconti di mio padre, non solo colui che mi ha fatto avvicinare sin da piccolissima allo sport più bello del mondo ma anche compagno di sempre allo stadio. “Guarda Ale, proprio lì Maradona segnò il gol di testa più bello della storia e trent’anni fa ero in quella fila in Curva quando dall’emozione per la vittoria del primo scudetto piansi insieme a tutti i tifosi del San Paolo”. Pianse? Mai visto piangere, ma per Maradona ed il tricolore immagino si possa fare sicuramente eccezione.

Per tutti questi motivi, la foto vista su Facebook mi ha portato ad una riflessione che, ahimè, si ripopone spesso nella mia mente: “E se fossi nata dieci anni prima dello scudetto e non nel luglio 1986, cosa sarebbe successo?” Avrei sicuramente vissuto delle emozioni indescrivibili ed al momento irripetibili, che mi hanno visto lì comunque presente ma che, purtroppo, non sono impresse nella memoria di una piccola Alessia di soli 11 mesi. “Cosa avrebbe cambiato in me?” Probabilmente nulla. Sono convinta infatti, che la nuova leva di tifosi post scudetto sia accumunata da una particolare caratteristica, la cosiddetta “tempra di ferro”. I sostenitori degli ultimi venti anni infatti, hanno superato di tutto insieme al club partenopeo: retrocessioni, fallimenti, cessioni di lusso, play off persi con sofferenze uniche, delusioni immani, sconfitte brucianti ed umiliazioni indelebili. Per questo, in molti sono e saranno sempre riconoscenti e grati al lavoro del patron Aurelio De Laurentiis per aver riportato speranza, fiducia e lustro a delle persone che le avevano perse purtroppo da tempo. Inoltre, il senso di appartenza a squadra e città è davvero come pochi: compito del tifoso giovane ma consapevole è difendere la propria squadra e la propria terra di appartenenza sempre e comunque, come se fosse una persona di famiglia offesa dal più becero degli sconosciuti, portando il proprio credo in giro per il mondo e facendo un vanto della fede partenopea, che non ha rivali quanto a passione e fedeltà in tutto il globo terrestre. Quasi una missione di vita insomma, in attesa del beato giorno dei festeggimenti di qualcosa di storico. Se avessi ricordi dello scudetto ahimè, non sarebbe mutato niente: forse attenderei con meno ansia ed emozione il giorno in cui potrò rivivere queste forti emozioni, con la convinzione che per fortuna, sia sempre più vicino. Non resta quindi che attendere con pazienza e dedizione, cullandoci nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di essere un po’ più adulto, ma vantandoci di vivere da protagonisti un presente che non fa altro che sorriderci.

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