Perso Gargano, cercasi disperatamente un’anima

Senza nasconderci, parlando da uomini che non amano prendersi in giro, siamo delusi, molto delusi. Mi si dirà” Tu sei un giornalista, devi essere obiettivo, non devi lasciare colare il tuo sentire in un giudizio che necessariamente deve essere neutro, devi osservare e riportare i fatti senza passione”. Ed io scoppio a ridere, ma così tanto che urge Maloox per risite acuta e perforante. Il giornalista guarda, e quando riporta non può fare a meno di giudicare.

E’ assurdo parlare di oggettività quando si scandaglia l’agire umano, è comico pretendere un giudizio avalutativo, anche se la categoria spesso lo pretende e si illude di arrivarci, di raggiungerlo. Io guardo la realtà a partire del mio sentire, quindi da una piattaforma soggettiva. Ciò che poi cerco di rendere visione imparziale è solo un tentativo, diciamo anche una sciocchezza, perché l’uomo, e quindi anche il giornalista, mentre riporta la notizia, necessariamente la giudica dal suo punto di vista.

Ecco perché non voglio truccarmi da osservatore  super-partes, e voglio a voi presentarmi come vostro fratello, quindi come un tifoso, e non mi si accusi che il giornalista tifoso non fa bene il suo lavoro, è una sciocchezza, credetemi. Come se il calcio fosse un trattato di astronomia, freddo, matematico, statistico. Bacconi lo vede così, ma lasciamolo ai suoi deliri.

Io stasera voglio riportare la notizia di un lutto, un lutto che mi è stato gridato sulla spiaggia, nei chioschi mentre si beveva il caffè, nei capannelli di tifosi napoletani che si incontrano ovunque, anche su remote calette di villeggiatura. Erano delusi, tristi, non inferociti. E questo mi ha già messo in allarme. Chi si dibatte, chi sbava e urla è vivo, sente che combattendo può farcela..ma sulla spiaggia sentivo solo un remoto dolore. Gargano via,e si portavano la mano sul cuore, sentendosi mancare, come se fosse stata loro strappata via l’anima. Lavezzi prima, ora Gargano, due simboli, due pezzi di storia, due identificazioni. Prima la follia, adesso l’anima.

“Cosa è ora questo Napoli?” si chiedevano; cercavano le risposte tra un tuffo e un altro, poi tentavano di ragionare, ma che vuoi ragionare quando la tristezza ti travolge più alta di un’onda. E con la testa tra le mani, un tifoso che era la Dea Pena scesa in terra, sibilava con affanno “Nun ce posse credere, nunn’ è overo. Ma chisto Bigon che cumbine? L’anema mo’ addo’ a pigliamme? Simme muorte.”

L’esagerazione dettata dalla pena aveva però un retroterra di vergine e luminosa verità. Walter era l’organo pulsante che pompava furore, che aggrediva con fame, proprio come noi napoletani quando vogliamo qualcosa. E cosa cercava Aleandro? Semplicemente l’applauso, l’ammirazione e il riconoscimento di questo popolo che avvertiva quasi con brivido così simile a quello che aveva abbandonato. Ora Walter non c’è più, e stamattina Cannavaro ha lanciato tra le righe un timore, un allarme, una frustrazione. C’è rammarico, c’è un po’ di straniamento, i puntelli che ci ancoravano al terreno sono stati divelti. Ora la storia è davvero cambiata, noi tifosi siamo un po’ impauriti, un po’ spaesati, con gli occhi aperti come quelli di un bimbo che attende nella tristezza un evento che lo rincuori.

Attendiamo un’anima, stasera ci sentiamo tutti un po’ orfani, tutti un po’ morti. Così nella piazza del paesino c’è meno chiasso stasera, una delicata mestizia morde i cuori…quel tifoso che ho sentito stamattina ora beve il suo caffè lontano, sullo scoglio, guardando il mare, attendendo un miracolo, rievocando, e ad un tratto sorride, forse pensa a Walter. Ora ditemi..chi è più vero, questo tifoso che guarda nell’oltre, con il cuore che sente, o colui che scrive intorno a Gargano come se scrivesse di una pietra? Solo chi sente ha il diritto di dire, e noi possiamo dire il vero, perché sentiamo.

 

Carlo Lettera

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