Si fa presto a dirgli: “Non fischiate”…

Dopo la disfatta di Siena, l’ennesima maturata per effetto di una prestazione sciatta e deludente, si accavallano, da più parti e su più fronti, le richieste, indirizzate ai tifosi azzurri, di non fischiare la squadra durante la partita interna che si disputerà lunedì sera contro il Chievo, piuttosto di incitarla e sotenerla, affinché possa trarre un feedback positivo dal supporto del pubblico casalingo.

Le reazioni scaturite da tale appello non si sono fatte attendere.

La risposta più eloquente è giunta da parte del “pubblico storico”, ossia i gruppi della tifoseria organizzata che hanno polemizzato, sottolineando, indignati e contrariati, che, negli anni, il proprio supporto alla squadra non lo hanno mai negato, rivangando la propria presenza sugli spalti allorquando le compagini che erano di scena al San Paolo portavano il nome di “Gela, Martina Franca, Lanciano” e le trasferte da sostenere per seguire la squadra azzurra non avevano niente di “europeo”, ma, piuttosto, mettevano a dura prova le competenze in geografia, poiché ci si trovava al cospetto di paesi sconosciuti, piccole cittadine, modeste realtà calcistiche che affrontavano alla meno peggio un dignitoso Campionato di serie C e per le quali affrontare il Napoli costituiva la loro personalissima “Champions League”, per i supporter azzurri si trattava, invece, solo di una grigia parentesi da archiviare nell’album dei ricordi il prima possibile.

Da quando De Laurentiis è a capo della S.S.C.N non è mai accaduto che il pubblico contestasse la squadra e/o l’operato degli addetti ai lavori così apertamente e duramente e, di primo acchito, appare un’enorme ed incomprensibile paradosso che ciò avvenga proprio nel corso della stagione calcistica in cui la squadra sta vivendo la massima e più gloriosa espressione della sua storia, disputando la ChampionsLeague.

Ma è necessario calarsi nella mentalità partenopea per assaporarne le idee, i valori, gli ideali e per palpare con mano quell’attaccamento alla maglia unico, irriproducibile ed incomprensibile, appunto, altrove.

Quello che lede l’orgoglio partenopeo, fino ad indurre i tifosi ad indirizzare fischi contro la squadra, è proprio l’assenza in campo del fervore, della passione, dell’impeto che il pubblico di fede azzurra vorrebbe vedere sempre in campo, a prescindere dalla competizione, dall’entità del match, dal nome dell’avversario che si è chiamati ad affrontare.

I tifosi vorrebbero vedere scendere in campo sempre 11 guerrieri, mai  con la testa altrove, né troppo stanchi o demotivati per giocare per vincere, esattamente come fanno loro, che sono lì, onnipresenti sugli spalti, con la pioggia o con il sole, che accantonano lavoro, famiglia e quant’altro caratterizzi le loro vite, per 90 minuti ed oltre, per dedicarsi anima, corpo e voce alla squadra, sempre e comunque.

Un amore incondizionato che non conosce inflazione, che è nato insieme alla squadra e vive con e in funzione di quella squadra stessa.

Le prestazioni degli ultimi tempi logorano quell’amore, lo fendono e lo mortificano proprio perchè, in un certo senso, lo “rinnega.”

Li hanno capiti ad inizio stagione, allorquando si trovavano al cospetto di un’avventura nuova, come la Champions, capace di farti tremare le gambe e di depauperare forza fisica e lucidità, li hanno coccolati ed incitati, ma ancora di più aspettati.

Hanno atteso che uscissero da questo torpore composto da maledizione misto a svogliatezza, perchè, è innegabile, che quest’anno anche il fato rema contro gli azzurri, ma è anche vero che, troppo spesso, si denota un Napoli volenteroso e combattivo solo durante pochi sprazzi di gioco, capace di fiammate di impeto ed orgoglio che spesso e volentieri, però, non si sono rivelate utili a sortire i risultati auspicati.

La gente di Napoli è delusa perchè non si aspettava che il prezzo da pagare per disputare la Champions fosse così esoso.

In Campionato il Napoli annaspa e, passato l’entusiasmo iniziale per aver superato “il girone di ferro” della massima competizione europea, subentra il rammarico e il timore di rimanere con un pugno di mosche tra le mani a fine stagione.

Perchè aver spedito in Europa League il Manchester City non conferisce alcun titolo agli azzurri, ancor meno, battere il Chelsea porterà all’ombra del Vesuvio qualcosa di “concreto e tangibile.”

Una soddisfazione, sicuramente si, l’ennesima, senza dubbio: ma può una squadra e, ancor di più , una tifoseria come quella napoletana, vivere e gioire solo di “soddisfazioni”?

Il fatto che il pubblico non abbia preso d’assalto i botteghini per accaparrarsi un tagliando utile per assistere alla partita contro il Chelsea, palesa il malumore e il disappunto che regna in casa Napoli.

Complice, senza dubbio, il listino prezzi molto poco popolari dei biglietti che, di per sé, ha infervorato gli animi azzurri, ma anche e soprattutto le ultime prestazioni in Campionato, inducono la maggior parte del pubblico a “disinteressarsi” della squadra che non è più in grado di offrire uno spettacolo divertente.
E anche, se contro gli inglesi, il Napoli dovesse ritrovarsi e riuscire a conseguire una bella vittoria, ciò, probabilmente, indispettirebbe ancora di più il pubblico, ripensando a tutte le occasioni sciupate in Campionato in maniera a dir poco grossolana e ai molteplici punti persi, tanti, troppi per poter indurre questi tifosi a poter affermare: “Almeno ne è valsa la pena per continuare andare avanti in Champions!”

Da questa presa di coscienza, sorta, partita dopo partita, nascono rammarico, ira, risentimento, delusione, sconforto, insoddisfazione che prendono corpo nei fischi che il pubblico indirizza, ultimamente, verso la squadra a fine gara.

Non ci sta la gente di Napoli ad applaudire questo scempio.

Contro il Chievo, di sicuro, non ci sarà il pubblico delle grandi occasioni, ed anche questo spazientisce la tifoseria storica, perchè, mentre, per una fetta di pubblico, il Napoli è “una moda da seguire” allorquando la squadra imperversa nei vertici alti della classifica piuttosto che quando è chiamato a confrontarsi con una squadra prestigiosa, per loro questa squadra è “la loro unica fede”, “il loro unico amore”, “un’ideale”, come scandiscono in alcuni dei cori più celebri che intonano.

La loro semplice onnipresenza, lì, sugli spalti a gremire le curve, dovrebbe essere vissuta in tutt’altro modo dagli addetti ai lavori e, di contro, dovrebbe rappresentare per la squadra una condizione necessaria e sufficiente per estrapolare un input positivo da tramutare in grinta e combattività, sempre.

Avanzare pretese o chiedere a questo pubblico di domare il proprio impeto e sopprimere la propria passione viscerale, in ogni caso, sarebbe sbagliato, ma anche spropositato.

Se la squadra non gradisce i fischi del suo pubblico sa cosa mostrare loro in campo per far sì che li tramutino in applausi.

Se il Napoli vuole che “il dodicesimo uomo” torni a svolgere correttamente “il suo lavoro”, deve imporre il medesimo monito prima ai precedenti 11…

Luciana Esposito

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