E festa festa fino al mattino…

Si, lo  so. Le mie incursioni su Spazio Napoli vanno di pari passo con le mie incursioni allo stadio. Quando da raccontare sono le emozioni vissute tra i tifosi, mentre ci si dedica anima e cuore e muscoli e voce e passione alla squadra della nostra città. Ebbene. E’ esattamente quello che è successo dopo Villarreal-Napoli. E noi c’eravamo.

La tensione era alta fin dai giorni precedenti. E che ve lo dico a fare? Non sto qui a raccontarvi dell’urlo disumano al primo goal, dell’esultanza incontrollata che mi ha visto crollare su mio padre, piombato a terra trascinato da un abbraccio che voleva contenere un “GRAZIE” infinito per la splendida malattia che mi ha trasmesso. Al secondo goal, poi, un sospiro di sollievo, una corsa per tutta la casa e gli occhi lucidi. Al triplice fischio, una certezza e un obiettivo: “Andiamo a Capodichino ad accoglierli come si deve”. Perché questi ragazzi se lo meritano. Dopo una partita iniziata male, con le gambe pesanti, col piedino dalle dita ritirate, con gli occhi spaventati e con le riserve del Bayern  che perdono a Manchester. Dopo una partita continuata meglio, sempre meglio. In cui il peggiore in campo, Inler, ti caccia finalmente quel tiro che al San Paolo ormai invochiamo da mesi, anche quando la palla buona ce l’ha a centrocampo. Una partita in cui Lavezzi  ha preso per mano tutti. Una partita in cui il Madrigal più che un sottomarino giallo sembrava la Perla Nera di Jack Sparrow: “Nessuna è veloce come lei.” E il pirata Morgan che ci mette la manina per evitare anche quell’unico goal possibile dei padroni di casa.

Insomma, dopo tutto ciò non potevamo mancare. L’arrivo della squadra è previsto per le ore 3:15. Ci dobbiamo avviare prima, molto prima perché immaginiamo di non essere gli unici folli in città. E proprio come quando andiamo allo stadio, tocca avviarsi prima. Non abbiamo riti scaramantici da osservare. Questa l’unica differenza. Ma una sciarpa da indossare e fare il nostro dovere di tifosi. Perché questa volta non siamo riusciti a seguirli in trasferta, ma la nostra voce, o quel che ne resta, la devono sentire lo stesso!

Ore 2:15. Arriviamo in zona aeroporto e già si nota che i folli non sono pochi. Si parcheggia l’auto e si nota che i folli sono veramente tanti. Si arriva  davanti all’ingresso per le partenze e un rapido sguardo ci fa capire che la follia qui non c’entra. Quelli sono cuori che battono forte per le stesse emozioni. E’ solo il cuore che ti può spingere a fare mattina per condividere una gioia. Capodichino sembra il JFK di New York in un giorno di partenze per la Festa del Ringraziamento. E qui di ringraziamenti ne avremmo da fare, eccome!

 

Uomini, donne, giovani, papà con bambini, chi torna dalla discoteca, chi ci sarebbe dovuto andare, chi è lì perché tanto non avrebbe dormito comunque tanta l’adrenalina ancora addosso, chi è stata trascinata da un fidanzato, chi ha trascinato un amico. Sono circondata da sciarpe azzurre, bandiere piccole, medie e giganti. E se non te la sei portata da casa, poco importa. Sbuca il venditore ambulante di tutto ciò che ti serve. E allora non si può non comprare una bella bandiera biancazzurra, che si sventola orgogliosi, che si guarda ammirati e che è il modo per tornare bambini. Quale occasione migliore per farlo?!

Ci sono persino le bibite nella solita bacinella che ti vendono fuori allo stadio a fine partita.  Unico grande assente: il Borghetti. Per il resto, Capodichino si è trasformato nella succursale del San Paolo in piena regola.

Andiamo al terminal degli arrivi, chiuso ovviamente, ma cantiamo a squarciagola. Dedichiamo qualche salto agli juventini, che fa sempre bene. Serve per tenerci in forma. Un tizio ci viene incontro, ci sorride, ci abbraccia e ci bacia. Noi ricambiamo. Non abbiamo assolutamente idea di chi possa essere, ma è una gioia generale e va condivisa.  C’è gente arrampicata ovunque, pur di avere un posto in prima fila, con lo sguardo su un varco da cui, è chiaro, che non usciranno mai. E allora, deliri collettivi ci fanno spostare da un’uscita all’altra. Riprendiamo l’auto, ci dirigiamo verso il varco militare di Viale Maddalena. L’ultima volta, pare, siano usciti da lì. Pensiamo di essere furbi. Ovviamente non siamo gli unici. Auto parcheggiate ovunque, ragazzi arrampicati sul muretto, oltre il filo spinato della “zona militare – limite invalicabile”. Chiara dimostrazione che il cartello va ripensato. Altri sono seduti cavalcioni sul cancello automatico. Capiamo che anche da lì non passeranno mai. E capiamo che in fondo noi non siamo lì per vedere le loro facce. Noi siamo lì per vedere le NOSTRE facce. Che sono belle. Sono felici. Sono sorrisi e occhi lucidi per quello che nel resto d’Italia insistono a voler vedere solo come uno sport. Uno sport non spinge migliaia di persone, alle tre del mattino a uscire da casa per poter urlare che siamo tra le 16 città più forti d’Europa. E’ la passione che lo fa. E noi siamo appassionati assai. L’avranno pensato pure le signore del pullman turistico che probabilmente  di ritorno da Medjugorje, come qualcuno suppone ad alta voce, si sono ritrovate a passare nel mezzo di una folla festante. Salutano divertite. Impossibilitato nel farsi largo da solo tra auto parcheggiate male e motorini in doppia fila, l’autista non ha avuto modo di avvilirsi perché aiutato prontamente da volontari vestiti d’azzurro. Le signore avranno pensato che siamo proprio belli.

 

Alle quattro e mezzo, dopo aver corso da un’uscita all’altra in preda a deliri collettivi, pensiamo che ormai i giocatori siano arrivati anche a casa, mentre noi abbiamo ancora voglia di sventolare bandiere e intonare cori.

Ci guardiamo negli occhi. Siamo soddisfatti e orgogliosi di tutto ciò che ci circonda. E’ ora di un bel cappuccino caldo e un cornetto. L’abbiamo proprio meritato.

E tornando pensiamo che abbiamo fatto tutto ciò senza neanche vedere i giocatori. Che abbiamo fatto tutto ciò “solo” per il passaggio agli ottavi. E che chi è rimasto a casa non pensa che siamo pazzi, ma che è pazzo lui a non essere lì con noi.

Ecco perché meritiamo di essere i tifosi di una delle 16 squadre più forti d’Europa.  E ve lo dovevo raccontare.

 

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