La Repubblica: aumentano gli ultrà diminuiscono i tifosi. Il Napoli al quarto posto per numero di tifosi

LA MAPPA del tifo in Italia, tracciata, per la quinta volta negli ultimi sei anni, da Demos-Coop per Repubblica, sorprende un po’. Per molti versi, infatti, appare coerente e continua, quasi statica, rispetto al passato. Anche se il “mondo intorno” è cambiato profondamente. Anche se i sentimenti si sono incarogniti: sono divenuti ri-sentimenti. Anche se le passioni si sono radicalizzate all’estremo. Anche se lo spettacolo e la partecipazione avvengono prevalentemente – e quasi esclusivamente – davanti agli schermi, non negli stadi. Anche se il sospetto, il dietrismo e il complottismo avvolgono, come una nebbia venefica, i campionati e gli incontri di calcio, a ogni livello. Anche se, agli occhi dei tifosi, il calcio ha smesso di essere uno sport. O, forse, il tifo si è riprodotto, simile al passato, proprio per questo. Perché riproduce il mondo intorno e ne enfatizza, in parte, le degenerazioni.

Ma veniamo alle principali indicazioni del sondaggio di Demos-Coop. Che propone, come si è detto, un quadro simile al passato prossimo. Con qualche significativa variazione. Il peso, nella popolazione, di coloro che si definiscono “tifosi” è calato un poco, nell’ultimo anno. Dal 52% al 45%. Per la prima volta da quando conduciamo questa rilevazione (cioè, dal 2005). Effetto, sicuramente, della delusione e dell’insofferenza suscitate dagli scandali e dalle tensioni che hanno scosso il calcio italiano, negli ultimi cinque anni. Ma che nell’ultimo anno si sono riproposti, con particolare intensità. Rammentiamo, in ordine sparso: le polemiche su Calciopoli, tra Juve, Inter e Fiorentina; l’inchiesta sulle scommesse, che ha coinvolto giocatori e società dei campionati maggiori e minori; le tensioni fra la Lega e l’Associazione Calciatori, sfociate nella sospensione della prima giornata del Campionato di Serie A; le divisioni in seno alla Lega, fra grandi e piccole società, intorno alla questione dei diritti televisivi. E ancora, durante gli ultimi anni, il ricorrente montare delle violenze, in settori limitati, ma influenti delle tifoserie. Tutto ciò ha prodotto una riduzione dei tifosi, fra gli italiani. Ma, in fondo, molto limitata. Anche perché, parallelamente, sono cresciute le componenti più “calde” e “militanti” del tifo. Insieme, il 36% della popolazione. L’80% dei tifosi. Mentre si è ridotta la quota dei tifosi più moderati. In altri termini, il calcio è divenuto arena – e teatro – per un tifo sempre più acceso. Mentre si è ristretto lo spazio per un atteggiamento “tiepido” o, peggio (meglio?), distaccato.
La distribuzione dei tifosi, tra le squadre principali, anche per questo, appare “congelata”, da anni. Quasi un mondo a parte. Al primo posto, per numero e quota di tifosi, la Juve. Quasi il 30% del totale. Poi l’Inter (19%) e il Milan (16%). Quest’ultimo in lieve crescita, rispetto all’anno scorso, spinto dallo scudetto – le vittorie aiutano sempre. Seguono, tra il 10% e il 4,5%, in ordine: Napoli, Roma e la Fiorentina. Tutte le altre, in diversa misura, si dividono il rimanente 17%. Invece, è cresciuta ancora – di quasi 10 punti percentuali – la quota dei tifosi che provano antipatia – talora “odio” – verso un’altra squadra. Oggi ha superato il 50%. La svolta, com’è noto, è avvenuta nel 2006, dopo Calciopoli. Da allora la squadra più “odiata” dagli italiani è divenuta l’Inter, che ha superato nettamente la Juve e il Milan. Queste tre squadre intercettano quasi metà delle antipatie. Anche perché i tifosi le esprimono apertamente e reciprocamente.
Peraltro, nel calcio il sospetto è la regola. O quasi. Il 55% dei tifosi, quando gli arbitri sbagliano, pensano, con Andreotti, che “a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca…”. Due tifosi su tre, inoltre, considerano la cosiddetta “Calciopoli”, l’inchiesta sul “sistema” di illeciti che avrebbe condizionato i campionati per molti anni, come un caso di giustizia sportiva viziata da molti errori. Oppure palesemente ingiusta, perché a senso unico. E quasi metà dei tifosi ritiene che lo scudetto della stagione 2005-6 non avrebbe dovuto essere assegnato a nessuno. Anche verso lo “scandalo scommesse”, esploso negli ultimi mesi, i tifosi mostrano un atteggiamento disincantato e per nulla indignato. Solo il 5% di essi pensa a una “montatura”, ad opera dei magistrati e dei media. Mentre il 31% pensa a un fenomeno che riguarda casi isolati. I due terzi dei tifosi, invece, ritiene che questa pratica illecita abbia coinvolto molti giocatori e, ancor più, molte società.
Insomma, i tifosi, più ancora del resto della popolazione, pensano male del mondo che frequentano con assiduità. Da “spettatori” appassionati e coinvolti. Davanti alle reti pubbliche e private, digitali e satellitari, libere o a pagamento. Pensano male, di quel che accade sui campi di calcio – e ancor più nel retroscena. I “Cattivi pensieri”, espressi da Gianni Mura, non li inquietano e tanto meno li indignano. Il sospetto nei confronti degli arbitri e degli avversari rafforza, al contrario, la loro “fedeltà” verso la squadra amata e la loro “ostilità” verso le altre (e in particolare, verso “un” nemico). Gli illeciti e le furbizie fanno male, quando vengono subiti dalla propria squadra. Molto meno in caso contrario. Perché nel calcio, come in altri settori della vita, conta vincere più che partecipare. Costi quel che costi.
D’altronde, i tifosi costituiscono metà della popolazione e una quota dominante del pubblico televisivo. Anche per questo riflettono e interpretano le principali dinamiche della vita sociale e professionale. Ma anche della realtà politica – e pubblica. In un processo di mimetismo reciproco. Non c’è più distanza fra tifo e (video) politica. Da molto tempo. Da quando, in particolare, nel 1994, Berlusconi ha deciso di scendere in campo, con i suoi club “azzurri” e una formazione politica che echeggiava il grido di sostegno alla Nazionale. Per questo, attendiamo con trepidazione che anche nel tifo venga avvenga quel cambiamento d’opinione osservato, da qualche tempo, nella società e nella politica. Una svolta mite.

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