A Roma cominciò, a Roma dovrebbe finire. Ecco la “Mazzarri story”

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La dove tutto cominciò, dovrebbe anche finire. Da Roma a Roma. Tutte le strade portano e partono da lì, dallo stadio Olimpico: l’ombelico della sua storia. Milletrecentoventidue giorni di Walter Mazzarri azzurro. Un‘era più che un ciclo. Veni, vidi, vici. Poi, forse, quasi sicuramente, lascerà. Quattro ottobre 2009, l’inizio del racconto. Anche se lui di fatto non c‘era ancora. E‘ Totti l’uomo del destino. Due reti, la seconda col ginocchio che fa crac, e Donadoni è esonerato. Sette punti in sette partite: poco. Il destino è segnato, e l’ultima spallata, fisicamente, la dà Jimmy Hoffer, bomberino austriaco col profilo alla Kirk Douglas. Non diceva una parola di italiano e neanche segnava. Quel pomeriggio, solo, a quattro passi da Lobont, ci andò di spalla e tirò fuori. Finì 2-1 per la Roma, De Laurentiis cambiò tutto. Mancini, Ranieri, quanti nomi. Poi ecco lui, Walter Mazzarri. Negli uffici Filmauro, sempre a Roma, la stretta di mano. Che nella città eterna, e nel calcio, non poteva essere per sempre, eppure è valsa almeno quattro stagioni. 

Straordinarie, ormai da raccontare. Centoottantuno partite col Napoli. Walter Mazzarri promise di dare un’anima ai giocatori. Ma poi in fondo l’anima se l’è presa. Una squadra costruita a sua immagine e somiglianza, in campo e nella testa, ventiquattro ore al giorno per l’intera settimana e soprattutto in quei novanta minuti ogni benedetta domenica. La prima volta al San Paolo contro il Bologna. E fu subito delirio. Ansia, sofferenza e gol decisivo quando con l’indice, Mazzarri, già indicava l’orologio. Per dire che non era finita, che si doveva ancora attaccare. Provarci. Per dovere e filosofia. Ottantanove vittorie totali, il cinquanta per cento circa di media di quelle giocate, il cinquantacinque quest‘anno: rendimento più alto da quand’è a Napoli. Quattro anni di Mazzarri. Gioie e record, qualche rimpianto, ma soprattutto notti indimenticabili: ribaltando le gerarchie in Italia e ridefinendo quelle in Europa. Il trionfo all’Olimpico in Coppa Italia contro la Juventus.

Aspettate e saprete quale sarà la mia decisione. Dopo la Roma dirò tutto“. Dopo però, solo dopo. Ma il bello è stato sicuramente prima. A cominciare da quelle sedici partite di fila senza sconfitte al debutto. Che ne fecero l‘idolo e anche un personaggio: la camicia bianca d‘ordinanza, la giacca da togliere scaramanticamente per far gol e gli occhiali che da necessità divennero per qualche tifoso un accessorio. Mazzarri story. Immagini che tornano. Cento secondi per riacciuffare in pieno recupero il Milan già avanti di due gol; la presa di Torino (2-3); la magia della Champions; le triplette di Cavani a tutte le grandi e la cresta sfrontata di Hamsik: simbolo di un atteggiamento, di una squadra sempre più consapevole, forte, ormai matura, ma che pure qualche rammarico ce l’ha. Lo scudetto accarezzato e mai preso veramente di petto e quell’Europa League forse trascurata. Sesto di sempre degli allenatori a Napoli per panchine consecutive, record di vittorie esterne (nove) e primo, assolutamente primo, nella classifica preferenze di De Laurentiis. In totale 145 panchine in campionato, una vittoria (0-2) ed un pareggio (2-2) nelle sue due sfide a Roma contro la Roma. Tutto accadde di fatto quel pomeriggio a Roma, là dove tutto cominciò ma dovrebbe anche finire.

FONTE: Il Corriere dello Sport

 

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