Inutile nascondersi dietro un dito, accantonare tutte le perplessità che il ritorno in estate di Walter Gargano avesse suscitato.
Non di certo per le parole all’approdo all’Inter, scelte ed emozioni personali che non è intellettualmente corretto giudicare, porre come appendice nella valutazione di un calciatore. L’uruguaiano semplicemente appariva come un capitolo chiuso, pagine di storia azzurra ormai nella piacevole soffitta dei ricordi. Quasi 200 presenze in azzurro prima di approdare sui Navigli, cinque stagioni da leader in un contesto in continua crescita, una matricola in pochi anni mutata in realtà importante del calcio italiano. Due stagioni in chiaroscuro tra Milano e Parma, ed il ritorno all’ombra del Vesuvio.
L’ipotesi di un nuovo, definitivo, trasferimento che si allontana gradualmente, Rafa Benitez che ne nota l’impegno, a poco a poco lo pone come un monito. Il ritorno anticipato dalle ferie, la voglia di spaccare il Mondo e smentire gli scettici. Gargano a poco a poco, in silenzio, lontano anni luce dai protagonismi da spogliatoio della prima parentesi azzurra, si è garantito uno spazio importante, è riuscito a stravolgere le opinioni di tutti. Sedici presenze, una scalata progressiva nelle gerarchie del tecnico spagnolo, che ormai l’ha delineato come punto fisso. Encomiabile a Doha, tantissima quantità e grinta anche ieri al Manuzzi di Cesena.
Il ritrovato equilibrio della truppa azzurra non può fare a meno dei galloni portati in quantità industriale dal piccolo mediano di Paysandù, del fiato, dall’impegno, del piglio sempre a disposizione della squadra. Una seconda giovinezza, a 30 anni, Gargano si è guadagnato l’ennesima vittoria, dal sapore diverso da quell’esordio in Serie A a ventitrè anni, appena sbarcato dall’Uruguay, ma forse ancora più ricca di soddisfazione.
Edoardo Brancaccio