Fenomenologia di una domenica di transizione: tra passione e coni d’ombra

A zonzo per il web. Alla ricerca di una scintilla, di un appiglio. La domenica senza Napoli mi rende piangente almeno quanto il famoso salice, con la sua chioma tondeggiante che nasconde pensieri e riflessioni. E bestemmie, talvolta. Alzi la mano chi non ha imprecato quando ha visto Dries Mertens stramazzare al suolo durante Belgio-Galles. Una maledizione. Due folletti frantumati in sette giorni. Roba da fare a pezzi il rappresentante porta a porta. Poi il tweet rassicurante del buon Dries e la quiete dopo il melodramma.

Ritorniamo alla mia domenica sabbatica. La mia pagina Facebook, oltre ad urlare i nomi dei possibili sostituti del povero Insigne come fossimo al mercato del pesce, mi ripropone gli highlights di un Napoli-Cagliari di un paio di stagioni or sono. 6-3 il punteggio finale, a segno anche Gargano e Maggio (pensate un po’). E la tripletta del cagliaritano Larrivey. El Bati incompreso, una sorta di meteora che i tifosi italiani hanno faticato a riconoscere quando qualche settimana fa abbatteva il Barcellona al Camp Nou con la sua Celta Vigo. Favole del calcio più vero, favole da Napolli-Cagliari. Una sfida da digrignare i denti, un’ostica rivalità e una miriade di tormenti rimbalzati nell’ultimo decennio dal Golfo all’Isola. Un’oasi di emozioni che pare non avere confini.

Ho rivisto il mio San Paolo. Immerso nei canti e nella gioia. Non ci abbracciamo da Napoli-Bologna di fine estate scorsa. La distanza ha creato una voragine. E quel catino sudicio e fatiscente mi manca. Mi manca terribilmente. Mi manca la sua passione e perfino le sue smorfie di dolore. Ma se la lontananza “è come il vento, aiuta a dimenticare chi non s’ama“, io mi accorgo ogni giorno di più di quanto sono legato a quell’ovetto così maltrattato. Dalle isitutizioni sì, ma anche dalla sua stessa gente che continua a caricarsi sulle spalle malgrado gli acciacchi e la veneranda età.

Leggevo di un calo netto delle presenze a Fuorigrotta. 26700 spettatori in media in questo primo scorcio di stagione. Settimo posto dietro a Lazio e Fiorentina. La crisi, i prezzi alti, le tante sfide ravvicinate considerando l’Europa League, l’incapacità di assistere ad una gara con i minimi comfort garantiti. Tutto vero, ma sono storie trite e ritrite. L’onda azzurra, diciamocela tutta, si è infranta sullo scoglio dello scetticismo. Non c’è una disaffezione, ma un imbarbarimento della passione sì. Si è divenuti troppo pretenziosi e disfattisti, dimenticando l’aspetto primitivo dell’essere tifoso: amare la maglia. Qualche promessa da marinaio è stata fatta, indubbiamente. Ma disertare lo stadio non punisce i “colpevoli” ma ferisce la propria squadra del cuore e, in fin dei conti, noi stessi. Il divano è più comodo e la tv si può spegnere se la performance non è di proprio gradimento. Tanto le invettive contro il presidente rimbombamo maggiormente tra quattro mura. Ma così siamo diventati meri spettatori. Quelli che alla prima serata di gala accorrono in massa per godersi lo show, contraddicendo puntualmente principi mai veramente condivisi.

Riabbracciare abitudini assopite è un must. Le sfide contro Verona e Torino, ancor più della gara contro la Roma, hanno dimostrato cosa vuol dire avere il pubblico di Napoli al proprio fianco. Ad incitare, sostenere ed impaurire l’avversario. Quello verace, autentico. Non quello che borbotta al primo passaggio sbagliato. Si diventa grandi tutti insieme, nessuno escluso.

Sto provando a stuzzicare il tifo vero. Ma ai piani alti nessuno si senta esente da colpe se i tornelli sono semi-deserti. Proprio questa domenica di transizione ha fatto riemergere il problema della sicurezza negli stadi. L’arsenale di fuochi d’artificio sciorinato dai tifosi croati in quel di San Siro è solo un assaggio delle nostre debolezze. La vergogna dei tanti controlli negligenti e delle zone d’ombra tipiche di tutti gli impianti italiani. Intere campagne mediatiche per invitare le famiglie allo stadio e poi gli occhi atterriti di quei bambini, spettatori inermi di tanta stupidità.

Una domenica diversa dalle altre. E un appiglio l’ho trovato. E’ la passione grezza e primitiva, che muove i cuori ma ingrassa le tasche. Eppure l’unica ancora di salvezza in uno sport senza un briciolo d’orizzonte.

Ivan De Vita

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