Benitez: “Al mio Napoli manca ancora un 25 percento. Il nostro mercato? Positivo. In Italia c’è la cultura del risultato, per questo siete rimasti indietro”

Ha rilasciato una lunga intervista al settimanale della Gazzetta dello Sport “SportWeek” l’allenatore del Napoli Rafa Benitez.

Uno dei suoi critici è Marco Materazzi, che non perde occasione per definirla arrogante e scrivere tweet al veleno. Vuole rispondergli?

“Da Materazzi, quando ero all’Inter, mi hanno già diviso tante polemiche. Pensando alla finale mondiale in Germania, dico solo una cosa: tra lui e Zidane, scelgo Zidane tutta la vita”.

Ma lei è convinto di avere sempre ragione?

“No, certo che no. La voro da anni con gli stessi collaboratori: ascolto le loro opinioni, poi decido. Ma ormai sul calcio la pensiamo allo stesso modo. Se c’è da cambiare qualcosa, lo facciamo. Ma se abbiamo vinto tanto è perché abbiamo le idee chiare“.

E fuori dal campo? Non dica che in casa, con moglie e due figlie, comanda lei?

“Per carità…Noi uomini in casa non comandiamo mai. Facciamo finta, ma sappiamo che a decidere è sempre la moglie. Ma sono tranquillo: ho 4 cani che controllano quello che succede in casa”.

La famiglia l’ha seguita a Napoli?

“No, è rimasta in Inghilterra. Le ragazze hanno 15 e 11 anni un’età critica. La piccola alla fine dell’anno scolastico sosterrà un esame – l’eleven plus – dal quale dipenderà il sio passaggio ad un istituto più o meno buono , e in futuro, a un’università migliore rispetto all’altra. Naturalmente sono venute a trovarmi e insieme abbiamo visitato questa città che è splendida come mi avevano detto”.

Cosa ha visto fino ora?

“La città sotterranea, Palazzo Reale, il Cristo Velato…”.

E riesce a girare indisturbato?

“Si, perché chi mi guida riesci ad organizzare con saggezza i miei tour. L’unica volta che mi sono trovato in una situazione difficile è stato a Pompei. Usciamo dalla cattedrale, e mia figlia piccola mi chiede un gelato. Va bene, andiamo, rispondo. Il piazzale era pieno di gente: mi hanno “ammazzato”… Ho detto alla bambina: vai a prendere il gelato mentre io faccio le foto”.

E l’ha fatta una visita nei vicoli – i Quartieri Spagnoli, il Pallonetto?

“Ho visto i Quartieri Spagnoli, ma da lontano. Mi hanno detto che c’è gente difficile”.

Nel caso, si farebbe accompagnare dal Presidente De Laurentiis o da Insigne?

“Se parliamo di calcio, da Insigne. Se parliamo di esperienza di vita, dal Presidente”.

Ha imparato qualche parola in dialetto?

“Il napoletano è simile allo spagnolo, ma  parlano così veloce che è impossibile capire”.

Sa chi era Totò?

“Un attore comico”.

Bravissimo. Eduardo?

“Ci sono tanti Eduardo”

Ma un solo grande De Filippo

“No”

Massimo Troisi?

“Mi suona ma dovrebbe chiedere a mia moglie, lei ricorda tutti”.

Che idea si era fatta di Napoli? Ed è cambiata adesso che ci vive?

“I calciatori spagnoli mi avevano spiegato che è molto simile alle città del sud della Spagna, Siviglia per esempio. Ma somiglia anche a Liverpool: ci si identifica con la quadra di calcio, che spesso è la sola distrazione dai problemi legati alla disoccupazione. Ma, qui come a Liverpool, la gente è orgogliosa e ha grande dignità”.

Lei vive in albergo qui a Castel Volturno: come passa il tempo libero?

“Mi piace giocare a scacchi e alla baraja, che corrisponde al vostro scopone”.

Lei è famoso per le sue scaramanzie, come quella dei calzini…

“Me li regalò anni fa la mia bimba più piccola e vincemmo. Ma da allora li ho cambiati”.

A Napoli, il regno degli scongiuri, gliene hanno insegnato qualcuno?

“No. In compenso mi hanno regalato decine di cornetti portafortuna”.

E con la tavola come la mettiamo?

Se vuole sapere se sono ingrassato, le dico di no. Al contrario”.

Com’è possibile?

Ho così tanto da lavorare, che non ho tempo per mangiare”.

Come definirebbe se stesso?

“Uno che ha le proprie idee, ma analizza le situazioni e vi si adatta senza pregiudizi”.

E’ esagerato dire che insigne calcio?

Non lo so.  Io posso dire che tutta la mia vita è legata al calcio. L’ho studiato all’università e l’ho insegnato, letteralmente, quando ero professore di educazione fisica. Ho allenato i giovani, e anche in questo caso posso dire di aver fatto l’insegnante. Conosco un solo modo per far migliorare una squadra: trasmettere i miei concetti di gioco. Non si tratta di dire: tu fai questo, tu fai quello. E’ un lavoro più profondo, che consiste nel dare ai giocatori gli strumenti per scegliere come comportarsi in ogni fase della partita”.

Ci riesce in che modo?

“Mi piace instillare nei miei la fiducia in se stessi. Permettergli di esprimere le loro qualità. Lo faranno se capiscono che applicare la nostra idea di gioco è più importante che neutralizzare quella avversaria. A me non interessa mandare qualcuno a spiare gli altri per poi dire ai miei: attenti che fanno questo e si muovono così. Invece, dico sempre: preoccupiamoci di noi stessi, di fare quello che sappiamo. Poi, in qualche momento della partita è giusto adeguarsi agli altri”.

A che punto è l’indottrinamento dei suoi?

“Ci manca un 25 percento per arrivare dove desidero. La squadra ha bisogno di altro tempo per arrivare a un livello superiore. A un livello europeo, cioè”.

Qual è la strada?

“Affrontare  squadre come Borussia Dortmund e Arsenal come è successo nel girone di Champions. Squadre figlie di campionati come la Bundesliga e Premier e prima ancora di club ai massimi livelli per struttura e organizzazione. Il Napoli, come società, ha bisogno di altro tempo per mettersi alla pari”.

Il modo con cui è stata costruita la squadra rispecchia la sua filosofia: il Napoli è fortissimo davanti, un po’ meno dietro. E’ stata una scelta precisa, in sede di mercato, oppure è stata sbagliata qualche valutazione sugli uomini?

“In estate il Napoli ha perso giocatori importantissimi come Cavani in attacco e Campagnaro in difesa. Al loro posto sono arrivati 7 giocatori: comprarne di più senza la sicurezza che i nuovi sarebbero stati migliori di quelli che sono andati via sarebbe stato un rischio sotto tutti i punti di vista. Il problema è aver perso per infortunio giocatori come Zuniga e Mesto. Per questo la nostra fase difensiva sembra più debole. Possiamo ancora sistemare qualcosa, ma giudico il nostro mercato, considerato anche l’arrivo di Jorginho e Ghoulam a gennaio, molto buono”.

La differenza tra un calciatore italiano e uno inglese?

“La cultura calcistica. Che non riguarda solo i giocatori: in Inghilterra c’è la cultura del lavoro, in Italia quella del risultato. Perciò siete rimasti indietro”.

E’ tornato in Italia per una rivincita?

“All’Inter ho vinto due titoli.  Non ho rivincite da prendere. Sono venuto a Napoli per aiutare questa squadra a sviluppare un potenziale che a giudizio del Presidente è il più alto di quanto espresso in questi anni”.

Ha detto: De Laurentiis è uno che mantiene le promesse, Moratti con me non fece lo stesso. Conferma?

Confermo che qui sono contento come non mi era successo in passato”.

Fonte: SportWeek – Gazzetta dello Sport

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