Campagnaro, Fassone e Santoro, una fetta di Inter dai ricordi ancora azzurri

L’eco del San Paolo s’avverte nitido, ancora, perché quattro anni non si cancellano con un addio, perlaltro chiaro, trasparente, annunciato: «Hugoooo, Hugooooo». Era già tutto previsto, sin dal 7 dicembre dell’anno scorso, ma guarda un po’ la vigilia di Inter-Napoli, quella volta a San Siro, quando nel «ventre» del «Meazza» si scoprì che ormai era fatta: Campagnaro in nerazzurro, avendo intuito che il rinnovo in azzurro sarebbe stato complicato. E quando il campionato è finito e ormai i titoli di coda stavano scivolando via «Hugoooo» – che poi è Campagnaro, ma s’è capito – scelse di salutare a modo suo, una sorta di lettera aperta per far capire che questo è il calcio e forse anche un po’ la vita. «Ci tengo a salutare i tifosi: qui a Napoli ho trascorso quattro anni meravigliosi, sia dal punto di vista professionale che umano. Il ricordo più bello è stato la vittoria in Coppa Italia ma porterò sempre nel cuore il calore dei tifosi napoletani, che mi hanno applaudito sempre» . Accadrà anche stasera e sarà lo slancio di sincera ammirazione d’uno stadio che in quell’«Hugoooo» ha sempre ritrovato, fino al momento del congedo, il leale difensore al quale aggrapparsi nei momenti del disagio.

IN NAZIONALE. Campagnaro, per riassumere 159 presenze, delle quali 143 in campionato, per racchiudere quattro gol, per ritrovare un interprete indomabile, la sintesi perfetta di quelli che si chiamano guerrieri, per riassumere la serietà in quella maschera impenetrabile ch’è sacrificio e che con la maglia del Napoli l’ha condotto sino in Nazionale. Campagnaro, quello vero, il terzo di destra ma anche il mediano, quando è servito il bomber, e comunque l’irrinunciabile elemento sul quale

LA SCRIVANIA. Quella da direttore generale è stata, per due anni, di Marco Fassone, che De Laurentiis rapì alla Juventus e che poi ha dovuto lasciar andare all’Inter. E pure per un manager, al quale viene chiesto di lasciar tornare i conti, il ritorno al San Paolo suscita sensazioni strane, le stesse che vennero espresse ufficialmente, attraverso il sito della società, con il saluto del 22 maggio del 2012, qualche ora dopo la conquista sul campo, da parte della squadra, della Coppa Italia, e ribadite ieri sera nel viavai di amici registrato nell’albergo che ospita l’Inter: «Due anni sembrano una breve parentesi della nostra vita ma per me hanno rappresentato un periodo sufficiente lungo per apprezzare la passione più autentica che, in questa città, per me ogni luogo, ogni persona».

IL TALENT SCOUT.  Ma anche la notte di Giuseppe Santoro è stata agitata: casa sua è al Vomero, quello è stato lo stadio inseguito sin da ragazzo, quando cominciò con la Damiano Promotion a cercare di costruirsi un futuro; poi arrivò l’Avellino con Pavone e con Zeman e quando lo chiamò Pierpaolo Marino al Napoli per affidargli la responsabilità del settore giovanile non avrebbe mai sospettato che un giorno gli sarebbe toccato il ruolo di ex. Team manager, la coscienza di Mazzarri però, innanzitutto, lo scopritore di Lorenzino (e Roberto) Insigne, uno di quegli affari che possono cambiarti la vita: millecinquecento euro investiti perché in quel ragazzino s’intravedeva il talento. E stasera, quando tutto sarà finito, la strada che porta al Vomero sarà un tormento.

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