L’editoriale di Deborah Divertito: “La dura vita dell’atleta di Cristo”

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Essere un atleta non è una cosa facile. Essere, nello specifico, un calciatore stimato e/o famoso, neanche: allenamenti tutti i giorni e a tutte le ore, trasferte, mogli e figli visti di corsa, fisico sempre sotto stress, tifosi che ti chiedono autografi e sorrisi finti mentre sei al ristorante o a fare shopping, carte di credito sempre piene per andare al ristorante o fare shopping. Insomma, avete bene in mente cosa significhi essere, ad esempio, Lavezzi a Napoli? Certo che lo sapete! Lo sapete perfettamente perché l’ha detto talmente tante di quelle volte che dovremmo essere ottusi per non pensare a lui come un povero ragazzo chiuso in gabbia con la bava alla bocca per un po’ di libertà nella sua villa sul mare del golfo.

 

Adesso, pensate essere un atleta di Cristo quanto possa essere ancora più complicato. Riflettori addosso pronti a far vedere al mondo che non sei così perfetto come vorresti, tifosi pronti ad additarti appena hai un comportamento che con Cristo c’entra poco se non con la bestemmia che si tira dietro. Grafici armati di Photoshop pronti a cambiarti  la scritta sulla maglia “I belong to Jesus” appena si accorgono che “Jesus not belong to you”.

 

Ecco, adesso provate ad essere un atleta di Cristo, fortissimo ma non il più forte del mondo, che tradisce la moglie incinta con una cassiera del posto, che lascia la propria squadra, per cui ha fatto tanto e regalato sogni, ma va via un passo prima di poter vincere davvero e lo fa per soldi, tanti soldi, che appena arriva nel posto nuovo lascia la cassiera del posto vecchio e fa gossip con una miss del proprio posto.

Dura la vita, eh?! Può darsi!

Anche se forse è un po’ più dura se sei un calciatore stimato, famoso e magari anche pallone d’oro. Quindi forte assai. Cambi qualche squadra, ma senza mai lasciare un cattivo ricordo, sia nel gioco che nel comportamento. Probabilmente la faccia da bravo ragazzo aiuta. Tant’è che nel momento peggiore della tua carriera, quando non giochi tanto e gli infortuni ti hanno fermato più volte, una tua ex squadra ti rivuole e ti accoglie con fuochi d’artificio e feste in pompa magna. E tu ti riduci anche lo stipendio pur di poterci tornare e poter giocare di nuovo. E, forse, è ancora più dura quando alla prima partita con questa tua nuova squadra, che poi nuova non è, t’infortuni di nuovo. Eri tornato per giocare, ma ti fermi per infortunio alla prima partita ed esci dal campo ancora con la faccia da bravo ragazzo che ti contraddistingue. Sono sicura che non ti è uscita neanche una bestemmia, nonostante tutto. A me per molto meno me ne escono in quantità industriale e anche di creative. E, immagino, che sia stato difficilissimo per un atleta di Cristo chiedere alla tua squadra di non pagarti lo stipendio per tutto il periodo dell’infortunio. Sai di non prendere una miseria, nonostante l’autoriduzione, e non percepirlo per un mese non ti farà morire di fame. Le tue carte di credito saranno ancora piene per farti andare a cena al ristorante e a fare shopping, ma la tua decisione, in questo mondo al rovescio, ha creato un certo stupore. E speriamo che, come ha detto un amico, CGIL CISL e UIL, entusiaste, non pensino di esportare il tuo modello anche in fabbrica. E, pensa, tutto questo con accanto la tua unica moglie dal 2005 e i tuoi due figli.

 

Adesso, trovate voi le differenze e ditemi quale vi fa bestemmiare di meno.

Bene! Quello è il vostro vero atleta di Cristo.

 

 

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