L’editoriale di Deborah Divertito: “Quando confondere Napoli e IL Napoli è fin troppo facile”

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Giuro che non è la mia nuova prassi stilistica. A dirla tutta quando alle scuole medie, e pure in primo superiore, mi sa, mi davano da scrivere “una lettera a…” era per me una tortura bella e buona. Perché mai avrei dovuto scrivere  a qualcuno di immaginario, con cui non avevo mai avuto rapporti interpersonali, a cui dovevo scrivere come stavo, cosa avevo fatto? Ammesso che avessi fatto qualcosa di veramente interessante. Altrimenti avrei dovuto inventare anche quello. Insomma, alla fine avrei dovuto inventarmi una giornata, inventarmi delle emozioni e inventarmi un amico a cui raccontare tutto ciò. E per di più mi dicevano che mi serviva per buttare fuori cose che magari non sarebbero uscite in altro modo.

Beh! A distanza di anni, tanti anni che non mi chiedete neanche quanti, mi ritrovo a scrivere qui, proprio qui, un posto per me speciale per dire quello che penso, nientepopodimenochè…una lettera! E la seconda in meno di un mese. E la seconda in meno di un mese ad un allenatore. Prima a colui che sarebbe potuto essere, poi così è stato, il futuro allenatore del Napoli. La seconda, e chissà se ultima, la dedico invece al vecchio e già, per quanto mi riguarda, dimenticato allenatore del Napoli. L’uomo dall’ego più ingombrante di Narciso davanti ad uno “specchio delle mie brame chi è il più bello del reame”,  l’allenatore che pensa di non essere stato mai esonerato, dimenticando la vicenda Samp, colui che l’unica cosa che ha vinto l’ha vinta a Napoli,  impresa con la Reggina a parte. Ma quella ce la ricorda già abbondantemente lui in ogni santa occasione. Insomma, caro Walter, questa è per te.

Ma non è una lettera di commiato. Non è una lettera strappalacrime di dolore e rimpianti. E non è neanche una lettera di gioia e viva e vibrante soddisfazione. Per me gli allenatori sono come i giocatori che sono a loro volta come i Papi. Morto uno, se ne fa un altro. Questa è una lettera per Mazzarri, sì, ma è quasi didattica.

Caro Walter, nella tua prima conferenza stampa nerazzurra, bada bene NERA-azzurra, hai chiaramente toccato anche l’argomento Napoli e tradimento. Per carità, un’accusa tirata in ballo dal Presidente, l’altro “egochecammina” che ti fa quasi concorrenza. E lo hanno tirato in ballo, chiaramente, i giornalisti per punzecchiarti un po’. Ebbene, a quel punto hai dichiarato a gran voce che non di tradimento trattasi, ma di una scelta ponderata e presa già all’inizio dell’anno scorso. Questo potrebbe farti addirittura onore visto che, nonostante il tuo risaputo abbandono, ci hai riportato in Champions e secondi solo ad una stratosferica Juve. Ma poi il tuo ego si è fatto largo. Gonfio. Atrofico. Ha allargato i gomiti e ha detto “ci penso io!”. E, quindi, la frase: “Penso di aver fatto il bene della società”. E fin qui, può anche andare. Poi l’ego ha preso definitivamente il sopravvento: “…e di tutta la città”. Ecco. In quell’istante ho visto Napoli, non  IL Napoli, ma Napoli, la città che mi ha divorato l’anima e me la risputa fuori migliore, ogni volta che penso di averla persa in mezzo alle sue storture. In quell’istante ho visto le strade di Napoli, i vicoletti, i bassi, i motorini con tre persone sopra, quelli col casco perchè non devono farsi vedere in faccia, quelli mini con sopra bambini che sembrano essere nati solo per rompere le scatole e dire parolacce. In quell’istante ho visto Piazza d’Armi e da lì ho visto Spaccanapoli che ferisce questa città al centro e per tutta la sua lunghezza, un taglio autoptico per vedere meglio dentro alla città, vedere di cosa muore e di cosa vive ogni giorno. E ho visto il tramonto dal Vesuvio. E ho visto l’alba dal golfo. Poi mi sono spostata verso le periferie. Io, da figlia della periferia est, ho visto le sue fabbriche, casermoni  fermi lì a ricordarti le speranze di chi, invece,  ha dovuto capire presto cosa significhi l’arte di arrangiarsi.  E poi ho visto Teresa,   di Pianura, fuggita da un marito violento e che tira a campare con un lavoro al call center di 200 euro al mese e ha due figlie di meno di tre anni; ho visto Giovanna dei Gradini Cinesi che sopporta da anni l’alito di alcol e il naso bianco di cocaina del marito, perché ha ancora una figlia adolescente da fare andare ancora a scuola; poi ho visto Mariarca, quindici anni e due aborti, che in quinta elementare non ci vuole più andare perché “so ‘na ciuccion’ vicin’a chelli creature!”. E ho visto anche Francesco che dalle Salicelle è dura uscirne veramente. Così come dal carcere. Ho visto Giusi, che dopo essere fuggita da tre case famiglia diverse, ha convinto i servizi sociali che vivere con il papà e due fratelli,  nel basso scavato in un cortile di un palazzo dei Miracoli era il suo vero destino. Con la speranza che “i Miracoli” non siano soltanto il nome del vicolo in cui vive. Ho visto Marco, che non ha una casa, ma ha ben due famiglie: una presso il centro diurno per senza fissa dimora e un’altra presso quello notturno. Caro Walter, ad un certo punto ho visto addirittura Peppe che fa tre lavori per guadagnarci bronchite, insulti e bestemmie. Il tutto per mettere solo il piatto a tavola e senza riuscire neanche a comprare un regalo al figlio. E, pensa te, ho visto persino tanti giovani e meno giovani professionisti del sociale, aiutare tutte queste persone messe insieme, in un modo o nell’altro, sempre col sorriso, con passione e competenza. Li ho visti manifestare davanti al Comune perché senza stipendio da due anni, li ho visti perdere il conto di quante mensilità devono ancora percepire, li ho visti gridare la loro rabbia, ma continuando a svolgere il proprio lavoro fatto di sguardi e abbracci ed emozioni. Li ho visti costretti a lasciare tutto questo perché senza soldi neanche per raggiungere i luoghi di lavoro. Certo, alcuni di questi sono anche tifosi DEL Napoli, e li ho visti gioire come pazzi sugli spalti, persino piangere per una vittoria. Alcuni di questi hanno anche cominciato meglio le loro settimane grazie alle vittorie del Napoli. Ma ti assicuro, che passato l’entusiasmo iniziale, hanno ricominciato a fare i conti con le proprie vite.

E allora, caro Walter, sei sicuro di aver fatto bene ad una città intera? Ti vuoi  veramente assumere un merito del genere?! E allora ti do un consiglio. Fai tacere il tuo ego e per una volta parla semplicemente di calcio. Che alla nostra Napoli ci pensiamo noi.

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