È un Jorginho 2.0. Numeri strabilianti studiando da leader, tra lo sguardo di Conte e quelle sirene estere da allontanare

Riscoprirsi, tornando a stupire. Lasciando la penombra, danzando sul ciglio di una carriera in attesa del balzo definitivo, della fulgida consacrazione. Jorge Luiz Frello Filho, più semplicemente Jorginho, brasiliano di Imbituba, veneto d’adozione – scoperto appena quindicenne dal duo Galli-Gibellini e portato al Verona – e d’origini, risalenti al trisavolo paterno originario di Lusiana comune a 25 chilometri da Vicenza. Gioiello del centrocampo azzurro scolpito nell’idea e nei dettami di Maurizio Sarri, rinato sotto le cure del nuovo tecnico partenopeo dopo una stagione difficile, tanto complessa da tratteggiare un futuro lontano dal Golfo.

Bagagli in soffitta. Accantonare l’annata 2014-2015 come imperativo per il regista classe ’91. Un baratro di prestazioni non all’altezza in cui sprofondare, 2100 minuti giocati senza mai lasciare il segno in 33 presenze complessive. Compassato, flemmatico, poco incisivo in fase d’impostazione, abulico e assente in quella di non possesso. Problemi figli di uno schema poco nelle corde dell’italo-brasiliano, certo, ma i primi sei mesi azzurri – con il medesimo sistema di gioco – avevano dipinto dei tratti decisamente differenti. I fasti della prima esaltante stagione in Serie A vissuta sull’asse Verona-Napoli un pallido ricordo, con l’aura della grande rivelazione a sfiorire progressivamente. Un’estate vissuta sull’uscio, in attesa di un’offerta propizia, con il veto di Sarri a togliere sfumature diverse – granata su tutte – dall’azzurro nel futuro del centrocampista. Una stima datata, quella del tecnico tosco-partenopeo, che aveva già apprezzato le doti di Jorginho in Serie B, quando era la punta di diamante del rampante undici scaligero guidato da Mandorlini. Attestata a più riprese fin dal ritiro di Dimaro, dove quasi a sorpresa aveva preannunciato che l’ex Verona non sarebbe stato semplicemente il rincalzo di Mirko Valdifiori, pretoriano del tecnico ex Empoli al Castellani.

Impatto d’autore. Protagonista, non comprimario, e così è stato, un Jorginho riveduto e corretto, in versione 2.0. Complice un esordio colmo d’affanni per il nuovo acquisto azzurro eccolo  azzannare famelico le proprie opportunità. Scampoli di gara subentrando a Valdifiori e l’esordio, brillante, dal primo minuto contro il Club Brugge. Perfettamente inserito nei meccanismi della mediana a tre di Sarri, vertice basso di un centrocampo tutto dinamismo, rapidità d’esecuzione e con la verticalizzazione come paradigma irrinunciabile. Sei presenze ad altissima intensità e dal rendimento crescente, impeccabile nel costruire il fraseggio azzurro, a tratti melodioso nell’innescare i tempi di gioco, una media pazzesca che parla per il numero 8: 90,9 % di passaggi riusciti.  Presenza costante in fase di non possesso, brillando in quel lavoro senza palla da sempre additato come il neo più evidente nelle sue caratteristiche: 10,7 km percorsi contro la Juventus, addirittura 11,9 nel trionfo di San Siro contro il Milan. Numeri in grado di mettere sotto scacco veri e propri maratoneti dell’undici partenopeo come Allan e Callejon.

Sirene lontane. Un livello di gioco altissimo, che non ha lasciato indifferenti gli osservatori di tutta Europa. Rumors di mercato vedono il Psg visionare il talento azzurro in ottica futura, dall’Inghilterra le voci di un duello tra Manchester United e Liverpool spiccano dalle colonne del Daily Express, proprio i Reds che insieme alla Fiorentina erano sulle tracce del regista partenopeo prima del blitz nel gennaio dell’anno scorso di Riccardo Bigon. La dirigenza azzurra è pronta a blindare il giocatore, perno della zona nevralgica del campo ancora lontano dall’esplodere, fragoroso, tutto il suo potenziale. Un futuro tinto d’azzurro, in tutte le tonalità, anche quella più decisa della Nazionale strizzando l’occhio a Euro 2016. Il cittì Antonio Conte è apparso sibillino: “Seguo Jorginho, spero non ci sia un altro scandalo se decidessi di convocarlo”. Mantenesse queste premesse, consolidando personalità e rendimento per la gioia della piazza partenopea, lo scandalo sarebbe lasciarlo a casa.

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Edoardo Brancaccio

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