L’umana orologeria

Attraverso gli strati sottili e impervi dell’infamia, realizzo le traiettorie del potere e delle atroci ingenuità. Il mio pallone è calciato dai piedi di raffinati e ignoti giocolieri. Rimbalzando tra le anguste e affollate tribune terrene, faccio sì che la palla colpita da lontanissimo si arresti non vista tra il reticolato del campo e l’ignara distrazione della folla in attesa della prodezza.

Percorro senza far rumore le ferrovie, gli aeroporti, le strade, i vicoli, gli edifici, le scale e i corridoi, entro ed esco dalle porte principali e secondarie. Mi fermo tra le gambe dei bambini e mi nascondo tra i cestini dei rifiuti e i cespugli dei parchi pubblici. Mi aggiro indisturbato tra la gente e le cose che presto saranno rovistate dalla mia azione risoluta e improvvisa. Regalo sciarpe e palloncini ai ragazzini che vanno allo stadio per la prima volta, mi appoggio ai chioschi sotto gli spalti, ora fumando la sigaretta prima di entrare in azione, oppure godendomi gli ultimi istanti di sereno entusiasmo. Posso trovarmi ovunque e in ogni momento, fino a raggiungere l’ubiquità.

Semmai qualcuno m’avesse visto per un momento in volto, scorgerebbe in me l’animo granitico e ostile di chi osa ovunque con l’intenzione di non fermare per nessuna ragione la mano spietata della perfezione. Il mio gioco è diabolico ma dice di ispirarsi a Dio. Ha regole di remote origini ed è mosso da mani che emergono da buie cloache, il domino disteso con un numero imprecisato di tessere su un campo impraticabile e scivoloso. Le mie dita sono abili e soavi, congiunte a palmi fermi e lisci, legati a polsi che chiudono braccia forti. Nascondo la mia faccia tra fumogeni e bandiere, nella ressa delle strade, fino ai seggiolini dei treni e le pareti degli edifici. Anche se di umana appartenenza, riesco a tramutarmi laddove le fisiche possibilità dell’uomo non possono arrivare.

Gli stadi e i teatri dove m’esibisco sono frequentati dai re e dalla plebaglia, dai miseri e dai gloriosi, dai padroni e dagli schiavi. La salvezza dalle mie decisioni è l’assenza e la presenza. Esserci e assistere al mio spettacolo vuol dire seguirmi e parteciparvi. Somiglio al delirio delle tifoserie e al silenzio prima del rigore decisivo, racchiudendo tutti i frangenti in un’unica emozione.

Mi ricordo un film, in cui una moglie tradisce suo marito con uno sconosciuto, e nel mentre lei consuma sul divano il suo tradimento, il suo sposo e il figlioletto saltano in aria allo stadio in diretta tv. Un misfatto coniugale sigillato per sempre nell’inconfessabile. L’ebbrezza di alcuni istanti interrotta dallo schianto e dal dolore. Correre alle macerie e agli schedari per indagare sull’accaduto non le servirà a colmare il vuoto del calvario, cifrato dalla scoperta che un glaciale complotto oltre ogni sospetto ha ordito tutto quanto. Il suo tradimento è la singolare meschinità umana, che ben si allinea alla macroscopica funzione che assoggetta la vita e la morte. Quello è un film – obietterebbe qualcuno – ma il reale, superando l’immaginazione, inscatola l’ingratitudine e l’umana salvaguardia di se stessi coi misteriosi interventi di altre umane necessità, che a dispetto di ogni arguta, fondata e sincera ispezione, dirigono le masse verso destini privi di ogni singola e libera volontà.

Un arbitraggio, corrotto e in malafede, gioca con le regole e col tempo, con i recuperi e le frazioni di gioco, con le grandi giocate e con le infrazioni. La vita reale è una grande composizione di fatti atroci e inspiegabili.

Io intanto sopravvivo ogni volta, riuscendo a dileguarmi dopo l’esplosione e ricomparendo sotto mentite spoglie, in altre vesti e altre sembianze, dopo essermi seduto a lungo nello stadio vuoto, talvolta piangendo di nascosto, nel fischio del vento freddo d’inverno, e non per una forma di pentimento o per mendicare divine indulgenze. La ragione del mio doloroso dopo gara è la doppia condanna inflitta a me che sarò sempre così come sono, e agli uomini che si ostinano a non comprenderlo, perseverando nella malafede, profonda almeno quanto la mia, del servirsi di me incondizionatamente.

sebastiano di paolo, alias elio goka

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