L’importanza di essere versatili

Versatilità: caratteristica propria di chi ha attitudini molteplici.

Plasmando il significato di questa parola, affinché assuma un’accezione di senso pertinente al gergo calcistico, si può giungere ad affermare che è la peculiarità espressa da una squadra in campo, allorquando riesce ad estrinsecare una trama di gioco poliedrica, flessibile, multiforme, in grado di adattarsi alle disparate esigenze che si verificano, di partita in partita, per effetto di infortuni piuttosto che di squalifiche, ma anche in relazione alle dinamiche dettate ed imposte dal terreno di gioco stesso, quali particolari difficoltà tecnico–tattiche, scaturenti da fattori di qualsivoglia natura: condizione deficitaria di uno o più calciatori, sterilità del modulo, in relazione a quello adattato dagli avversari, condizioni precarie del manto erboso che ostruiscono “la solita” impostazione di gioco, e si potrebbe aggiungere molto, molto altro ancora.

Ma, ormai, il concetto, si presume, che sia chiaro e comprensibile, così come altrettanto palese è a chi possa essere rivolta questa “canzone”.

Per quanto ci si voglia appellare a sviste/torti arbitrali che avrebbero potuto influire sul match o si voglia a tutti i costi archiviare la partita di ieri come una buona prestazione, non si può, anzi, non si deve nascondere la realtà dietro finti e scadenti alibi o avvalersi dell’attenuante degli infortuni e delle squalifiche.

Il Napoli sceso in campo ieri sera contro la Lazio, infatti, allarma e disarma, poiché appare come un giocattolo privo dei principali ingranaggi che ne consentono il corretto funzionamento e, il suo inventore, piuttosto che scegliere di sostituirli con pezzi “più giovani”, preferisce imbrigliarne i fili e i tasselli, sperando che cambiando l’ordine dei fattori, il risultato…cambi o non cambi?

Questo non appare comprensibile.

Confusione, smarrimento, esigua lucidità, (se non totalmente assente, per ampi tratti e su molti volti) scarsa, scarsissima concentrazione, carente sincronia tra azione e reazione, sterile convinzione nei propri mezzi, fievoli input motivazionali.

Questo è quanto è trasudato dalle 11 maglie azzurre, contestualmente alla prestazione contro gli uomini dell’ ex Reja.

Quest’ultimo, dal suo canto, ha dimostrato personalità e coraggio, nell’intervallo tra il primo e secondo tempo, nel lasciare negli spogliatoi, uno di quelli che, all’ombra del Vesuvio, sarebbe etichettato come “titolarissimo” ed, in quanto tale, intoccabile: Hernanes.

Sull’altra panchina, invece, si rileva un gran rovistare tra fogli e schemi, sperando di trovare sulla carta le soluzioni e le alternative che andrebbero rilevate sul campo.

Intanto i minuti scorrono, le fasi di gioco si susseguono, evolvendo in un modo che lascia presagire un esito tutt’altro che positivo per gli azzurri.

Con il senno di poi, certo, è facile dirlo.

Ben più arduo compito è rilevarlo in tempo reale.

Eppure, se “l’inventore del giocattolo”, non avesse avvertito il sentore di quell’avvisaglia, non avrebbe ordinato a qualche componente della panchina di accelerare la pratica di riscaldamento.

Però, poi, ha esitato nell’esecuzione materiale di quella sostituzione, contrordinando di aspettare.

Nel frattempo, la Lazio si porta in vantaggio.

Scena vista, rivista e stravista.

Si è ripetuta, infatti, più e più volte, nel corso di questo campionato.

Intorno al 60’ circa, solitamente, il tecnico azzurro, a prescindere dal risultato, decide di iniziare a prendere in considerazione l’idea di attuare qualche cambio.

Sovente, accade allorquando la squadra imperversa già in una condizione di svantaggio e/o le dinamiche di gioco antecedentemente hanno già delineato scenari sintomatici di difficoltà, soprattutto in particolari zone del campo.

La dubbiosità, l’indecisione, il tentennamento, ancora una volta, sono stati i protagonisti della partita di ieri.

Dentro e fuori dal campo.

E non è una casualità.

Perchè, se il comandante non sa quale rotta imprimere alla sua corazzata, è scontato e comprovato che quest’ultima rimanga in balia delle correnti e degli eventi.

A prescindere dal valore, più o meno discutibile dell’equipaggio, accade.

E’ un dato di fatto abbondantemente comprovato e assodato.

In una partita come quella di ieri, tuttavia, non era scontato che il Napoli fosse l’agnello sacrificale per il banchetto pasquale dei biancocelesti.

Lo è diventato nel corso della partita, quando il Napoli stesso, sostanzialmente, ha deciso di diventarlo.

Mazzarri, dal suo canto, ha avuto possibilità di scegliere se rimanere saldamente ancorato al suo imprescindibile modulo, a patto di allestirlo con elementi capaci di poterlo attuare al meglio e, quindi, fare di necessità virtù e ricorrere a qualche giovane innesto, prelevato in prestito dalla Primavera.

Scelta azzardata, ma non catalogabile come scandalosa.

Oppure, se utilizzare gli uomini di cui disponeva, avvalendosi di quella versatilità sopra citata, adattando, per una volta, il modulo alle caratteristiche dei calciatori e non viceversa.

Era una situazione d’emergenza, “uno strappo alla regola”, forse, andava fatto.

Forse il Napoli avrebbe perso comunque, ma, almeno, oggi, potevamo disporre di elementi nuovi, mai visti prima, per giudicare questa squadra, i suoi limiti, le peculiarità e la prestazione dei suoi componenti, avvalendoci di metri valutativi diversi, versatili.

Appunto.

Quello che, tuttavia, suscita maggiore perplessità e preoccupazione è una sensazione che, partita dopo partita, prende corpo in maniera sempre più marcata ed inconfutabile: a questa squadra occorre una scossa, forte, vibrante.

Questo Napoli necessita di quel carisma capace di caricare a molla l’intera rosa.

Per intenderci, occorre quell’iniezione di adrenalina e motivazione pura di cui si fece portatore Mazzarri, quando iniziò la sua avventura sulla panchina azzurra.

Ma che ora, invece, sembra sortire un effetto soporifero su quegli stessi uomini…

Luciana Esposito

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