Khvicha Kvaratskhelia manca al Napoli e non si tratta di nostalgia, ma è un dato incontrovertibile del campo. Il georgiano sta brillando lontano dalla maglia azzurra
Non serve essere nostalgici, perché il calcio è un eterno movimento, un flusso che non si ferma mai e non può guardare indietro. Eppure, la partenza di Khvicha Kvaratskhelia a gennaio 2025 ha lasciato un segno tangibile sul Napoli e che, numeri alla mano, ha tolto qualcosa di più che un semplice talento alla squadra di Antonio Conte.
Non è solo una questione di gol o assist, ma di un equilibrio spezzato, di una magia che si è dissolta e che ha ridisegnato i contorni di una stagione che poteva essere diversa. Da quando il georgiano ha preso il volo verso Parigi, il Napoli ha smesso di correre con la stessa leggerezza.
Kvaratkhelia, un addio che fa ancora male: perché il Napoli è calato
Con lui c’erano un attacco che incuteva timore e una fluidità che sembrava inarrestabile. Poi, dopo di lui, le difficoltà. Nei mesi successivi, la squadra ha arrancato tra febbraio e marzo, un bottino magro che racconta di una flessione non solo numerica, ma anche emotiva.

Certo, gli infortuni hanno fatto la loro parte. Neres, Spinazzola, Mazzocchi e Olivera fuori uno dopo l’altro. Ma è innegabile che senza Kvara il Napoli abbia perso quel guizzo capace di trasformare una partita stanca in un’occasione per fare punti. Non è nostalgia, è matematica: i punti persi sono un’eco del suo dribbling che non c’è più, della sua capacità di spezzare le difese come visto ieri sera contro l’Aston Villa.
Napoli senza Kvara, anche Neres soffre: il dato inequivocabile
E poi c’è David Neres, il brasiliano chiamato a raccogliere un’eredità pesante e che, forse, avrebbe potuto brillare di più proprio con la permanenza di Kvaratskhelia. Un paradosso, vero?
Prima di gennaio, Neres era l’arma segreta, il jolly da giocare nella ripresa, quando le gambe degli avversari si appesantivano e la sua imprevedibilità diventava letale. Entrava, spaccava le partite, dava al Napoli una dimensione diversa: un’alternativa che teneva gli avversari sulle spine e Conte con una carta in più da giocarsi. Con l’addio di Kvaratskhelia, però, tutto è cambiato.

Neres si è trovato catapultato in un ruolo da titolare fisso, senza il lusso di poter incidere a gara in corso, senza quel respiro tattico che lo rendeva devastante. Non è una colpa sua, ma una conseguenza. Il Napoli ha perso la possibilità di alternare due profili complementari, e il brasiliano, costretto a reggere da solo il peso della fascia sinistra, non ha più avuto la chance di essere l’ago della bilancia nei momenti chiave, calcolando ovviamente anche l’infortunio subito.
L’imprevedibilità, quella che Kvara portava con la sua corsa nervosa e i suoi tagli imprevedibili, era il sale di un Napoli che sapeva sorprendere. Neres, dal canto suo, avrebbe potuto continuare a essere il pepe, quella spezia che dà sapore quando meno te l’aspetti. Invece, la partenza del georgiano ha appiattito il gioco azzurro, rendendolo più leggibile, meno anarchico.
I 75 milioni incassati dalla cessione sono un tesoretto prezioso, sì, ma sul campo si sente la mancanza di un’identità che non si compra al mercato di gennaio. Non è nostalgia, è un dato di fatto. Il Napoli di oggi è una squadra che lotta, che resiste, ma che ha smesso di danzare. E mentre Kvaratskhelia illumina Parigi, a Napoli resta il rimpianto di ciò che poteva essere.





