Rogazzo, trent’anni da amico e collaboratore di Cannavaro: “Il suo calcio aggressivo come lui, ma al Napoli non ci pensa”

Cannavaro allenatore del Napoli? No, non per ora. È una suggestione di quelle sospese a metà tra la realtà e la fantasia, perché il nome di Fabio – con Paolo come vice – a Napoli suona una melodia particolare, nelle orecchie e nella mente dei tifosi. C’è un passato bianconero da vendicare, c’è una cessione affrettata e doverosa, in tempi di crisi economica, a cui rendere giustizia. Ma è destinata, almeno per ora, a restare una fantasia. Lui sarebbe pronto a fare il grande salto e chissà che un giorno non avvenga, perché se le vie del mercato sono tantissime, quelle del calcio sono infinite. Un giorno Fabio potrà ricongiungersi alla sua città chiudendo un cerchio, intanto tra tre giorni inizierà un nuovo campionato alla guida del Guanzhou Evergrande.

CANNAVARO ALLENATORE DEL NAPOLI? PARLA L’AMICO ANTONIO ROGAZZO

Stavolta al suo fianco, per il secondo anno di fila, non ci sarà Antonio Rogazzo, quarantasette anni, napoletano come lui, che l’ha seguito per cinque stagioni, tre al Guangzhou, una al Tjanjin e una all’Al Nassr. Viene dalla gavetta, Antonio, e vanta un’amicizia ormai trentennale con Fabio Cannavaro. Ricordate quel video in cui i raccattapalle azzurri, ragazzi del settore giovanile, si presentano in favore di telecamera? C’è Fabio Cannavaro, occhi vispi e sorriso vivace. Pochi metri più in là, intervistato, appare proprio Rogazzo.

È proprio lui a dirci che, per ora, Fabio Cannavaro allenatore del Napoli non s’ha da fare. Non credo sia nei suoi pensieri, Fabio ha un altro anno di contratto, si trova bene. Nel calcio mai dire mai, ma non penso che il Napoli possa pensare a Fabio”. Non solo: tra tre giorni inizierà il campionato cinese, con il Guangzhou Evergrande impegnato subito nel derby contro i rivali del Guangzhou R&F.

Il salto in Europa è rimandato, ma avverrà senza dubbio, perché le ambizioni di Fabio sono chiare: “Uno che ha ambizioni da allenatore – spiega Rogazzonon può non allenare in Europa. L’ho fatto io, nel mio piccolo, rinunciando ad allenare lì e tornare in Italia. Io penso alla Lega Pro, alla Serie D, chi vuole fare l’allenatore non può non ambire all’Europa”. Appuntamento rimandato al 2022, magari, quando il contratto con il Guanzhou scadrà e – può non significare nulla – anche quello di Mancini come ct dell’Italia.

ANTONIO ROGAZZO ALLENATORE

Intanto Fabio continuerà ad allenare in Cina, malgrado il ridimensionamento cui va incontro l’intero movimento cinese. Il governo ha tirato la cinghia ed è logico pensare ad una fuga dalla Cina. Per Fabio arriverà il momento, basta solo attenderlo con pazienza. Per Antonio il momento è già arrivato e, con grande umiltà, non fa proclami: “L’importante ora è iniziare, non mi faccio il problema della categoria perché è stata la passione di allenare che mi ha spinto a prendere questa decisione”.

In Cina è stato collaboratore di Fabio, poi allenatore della seconda squadra, nell’Academy:“Non abbiamo mai messo in pratica la settimana tipo, si giocava sempre due volte a settimana, un po’ di recupero, breve preparazione della partita. Gli allenamenti non cambiano nel metodo, cambia l’interlocutore, hanno bisogno di un altro tipo di addestramento”, sostiene Rogazzo.

Nel settore giovanile ha trovato un altro mondo. Centinaia di ragazzi, decine di formazioni giovanili, centri sportivi immensi: “È un serbatoio ricco, ma è sfruttato male. Molti di questi ragazzi hanno fatto altre esperienze, quindi hanno un’altra mentalità rispetto al calciatore cinese più maturo, che segue le direttive senza farsi domande. Se vuoi trasmettere un’idea ad una persona devi mettere in preventivo che ti faccia domande, è un arricchimento”.

IL CALCIO DI FABIO, GIOCHISTA O RISULTATISTA?

Se dovesse trovare un aggettivo per descrivere il calcio di Fabio, quello che nella metodologia porterebbe in Italia, Rogazzo non ha dubbi: “Un calcio pratico, aggressivo, rispecchia le sue caratteristiche da calciatore”. Una via di mezzo tra un giochista e un risultatista, per utilizzare i termini tipici del dibattito italiano. Porterebbe con sé il fratello Paolo, suo vice. Che è stato bravo a calarsi nei panni del collaboratore, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo: “Non è facile smettere e una settimana dopo andare ad allenare in un altro mondo, è stato bravo”.

L’esperienza in Cina si è chiusa con un nemico non facile da affrontare: il Coronavirus. “La parte più difficile – dice – è stata vivere lontano dalla famiglia per sette-otto mesi, quando hanno chiuso le frontiere. Poi la situazione si è tranquillizzata, in Cina non è mai stato così grave, se non nella città di Wuhan”. Oggi la Cina è libera, come confermato da Fabio Cannavaro in persona: la gente gira senza mascherine e le attività sono aperte.

cannavaro allenatore del napoli

Cannavaro allena ancora momentaneamente il Guanzhou, pronto alla sfida Europa. Antonio, invece, gli ha comunicato la sua decisione, è tornato in Italia e aspetta soltanto di tuffarsi nella sua esperienza da allenatore. Se De Laurentiis chiamasse Fabio al Napoli, quest’ultimo accetterebbe (parole sue). Se Fabio chiamasse Antonio, oggi, per portarlo con sé in azzurro, rifiuterebbe: “Ho scelto di allenare, non sarei coerente con me stesso”.

Vittorio Perrone

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