Squilli e incertezze. Mertens e Insigne, l’Adriatico come l’estate che si appresta alla conclusione

In due per un posto. Ed è inutile andare troppo per il sottile. Convivenza non impossibile, vero, ma dall’altro lato la duttilità di Callejon, e quando tornerà a disposizione di Emanuele Giaccherini, si lascia preferire, neanche poco, un fatto. Valutazioni che difficilmente potranno mutare, cambiar pelle nei disegni di Sarri. In due a contendersi galloni e responsabilità sull’out mancino, sfida costante, dualismo. Mertens e Insigne, Insigne e Mertens. Sanissima rivalità per quel posto ambito sulla sinistra, crocevia delle offensive, delle intuizioni azzurre negli ultimi venticinque metri. Cliché, spartito acclarato, così dai germogli dell’esperienza Benitez in riva al Golfo. Era il 2013, in questo, almeno, nulla è mutato.

Novanta minuti, cinquantatré a disposizione del classe ’91 di Frattamaggiore, trentasette per il folletto di Leuven, resa agli antipodi. Confusione, tanta, veleno nelle gambe di Insigne. Statico, lontano anni luce dal cuore della contesa, tutto affrontato con superificialità, alla lontana. Quasi ogni giro di lancette scivolasse addosso. E sguardo spento, zero agone, poca grinta. Difficile far male, impossibile quando si tira indietro la gamba e si è sempre secondi.  Gli avversari, loro, sempre sul pezzo. C’è da lavorare sulla condizione, ma non può essere una scusante. Sostituzione d’obbligo, cedere il passo e rielaborare, riflettere.

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C’è Mertens, poco prima dell’ora di gioco. Luce sul rettangolo verde, lampi di gran calcio sull’Adriatico. Un pizzico di egoismo di troppo, minimo appunto, ma anche classe, rapidità di esecuzione e tanto carattere fin dai primi passi in campo. L’obbligo, mai nascosto, scalfire e annichilire le certezze del gruppo di Massimo Oddo; frutto di una prima frazione con il Napoli sulle orme di un Godot che si fa attendere fin troppo. Due goal, ma non solo, serpentine continue, piglio, nerbo. E grinta, infinita, voglia di far male. E di conquistare un posto che sente suo. Altro che seconda scelta. Altro che gerarchie consolidate nei 1174′ di gioco in meno della scorsa stagione. Un fiume copioso di personalità e capacità di incidere, oltre le differenze – un tormentone fin dal suo approdo in azzurro dal Psv – tra gara in corso o dal primo minuto.

Biglietto da visita importante, sul campo. Epilogo naturale di un’estate diversa. Antipodi, dicevamo, atteggiamenti differenti a margine di mesi torridi. Voglia infinita d’azzurro per il belga, dubbi sulle prospettive future per Lorenzo. Totale immedisimazione nella causa, nel progetto. Necessità. Spunti dai quali il nuovo corso non può prescindere. La leadership orfana del Pipita è lì, va afferrata. Aspettando l’esplosione, i goal nei piedi e nelle gambe di Milik e Gabbiadini. Due squilli per il belga, sguardo fiero alla panchina in attesa delle scelte che verranno. Mertens c’è, i panni del trascinatore cominciano e vestire naturali. Quelli da comprimario, invece, strettissimi. Insigne è avvisato.

Edoardo Brancaccio
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