A parlare sono i fatti: la rivincita silenziosa di Sarri

Quanto sembra lontano settembre. E quanto lo è ancora di più giugno, e quei pomeriggi passati in attesa di notizie, dallo studio di De Laurentiis, vicino il Quirinale, a Roma. Montella e la Fiorentina, Sarri e il suo entourage, la diffidenza di una tifoseria, l’allenatore in tuta. Se qualcuno doveva riprendersi la sua rivincita, eccolo accontentato. Maggior numero di vittorie in serie A (24), record di punti e San Paolo imbattuto: signore e signori, c’è solo da inchinarsi di fronte a Maurizio Sarri.

L’allenatore toscano, ma dall’animo napoletano, è riuscito nell’impresa di portare alla sua prima stagione la squadra in Champions. Mica poco. E se non ci fosse stata la Juve ora staremmo forse a discutere di scudetti e feste memorabili.

Come a dire, se di miracolo si parla in Inghilterra per celebrare il Leicester di Ranieri, in Italia non è che siamo rimasti a guardare. La partita di Torino ha chiuso il ciclo, mettendo quasi al sicuro il secondo posto, chiudendo il cerchio magico, quella cavalcata che dopo Empoli, dopo settembre, dopo la falsa partenza sembrava impossibile.

Perché dobbiamo dircelo con franchezza: nessuno tra noi, nemmeno il più ottimista, avrebbe scommesso un solo scellino sull’accesso alla Champions, almeno per quest’anno. E pure diretta. Nessuno si sarebbe aspettato di passare così tante giornate in testa al campionato, di diventare Campioni d’Inverno, di rivivere momenti magici ed emozioni quasi dimenticate. Dalla doppietta di Higuain contro l’Inter, al San Paolo, alla sconfitta della Vecchia Signora, sempre tra le mura amiche, davanti a un pubblico estasiato. Dai sonori 5-0 alla Lazio, al Bruge, al Midtjylland, alla partita dominata a San Siro, 0-4, contro il Milan di Balotelli e Mihajlovic.

Dalla trasferta di Bergamo, contro l’Atalanta, a quella di Verona, contro il Chievo: sempre e comunque con Higuain protagonista, con una squadra capace di dominare gli avversari, di rendersi protagonista del gioco e della partita. Di cambiare e maturare: in due parole, di diventare grandi.

Perché oltre ai trofei, esiste un percorso che si chiama crescita. E Sarri, dopo più di 20 anni di gavetta in panchina, partito dalla Sansovino, dall’Eccellenza, dalla Promozione, ne sa qualcosa.

Oggi dobbiamo dire solo grazie ad un mister che, nel bene e nel male, ha difeso la città, l’ha fatta crescere, nel silenzio, con il lavoro di tutti i giorni. Perché Sarri, con le sue frasi, il suo modo di fare schivo e controverso, è un po’ l’opposto dei napoletani, esuberanti, eccessivi, gioiosi: e si sa, gli opposti si attraggono.

Neanche il terzo atto nel Napoli di Sarri si chiude con una vittoria”, titolavano i giornali in una soleggiata mattina del 14 settembre, dopo la partita al Castellani, finita 2-2. Oggi, a 8 mesi di distanza, il miracolo è compiuto. Perché il lavoro, alla fine, paga sempre. E chi è venuto da lontano lo sa ancora di più.

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Raffaele Nappi

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