Manolo scalda il mancino. In quell’abbraccio un passaggio di consegne, senza più alibi

Dall’indiscrezione, fondata su granitiche certezze, all’ufficialità il passo è breve. Fin troppo. Quattro giornate di squalifica per Gonzalo Higuain, amara fiele, scotto da pagare dopo l’epilogo turbolento della gara di Udine dell’argentino. Errore, umano, del bomber principe azzurro. Ma che non attendessero altro che calcare la mano appare più di una semplice considerazione. Ciò che rimane, comunque, è la realtà dei fatti. Il peggior modo possibile con cui concludere una domenica da record, l’ennesimo, trenta reti in Serie A, mai nessuno come lui nei novanta anni di storia partenopea.

Ora resta un’unica speranza: la riduzione di un turno, previo doveroso ricorso. L’obiettivo, categorico, è di mettere a disposizione di Sarri il suo totem almeno per la sfida dell’Olimpico contro la Roma. Un occhio al 25 aprile, d’obbligo, ma il presente incombe e con la realtà c’è da far di conto. Almeno tre gare senza il Pipita con il testimone che passa ai piedi, ad un mancino in particolare, quello di Manolo Gabbiadini. Mai chance più sgradita, nel momento cruciale della stagione. La pressione che straccia le carni e smorza il respiro. Divisi dalla rabbia per un sogno, quasi, sfumato e quel timore, infido, che anche il piazzamento diretto in Champions possa ritornare in discussione. Una beffa che sarebbe impossibile da metabolizzare. Non dopo una cavalcata così elegante e allo stesso tempo dispendiosa. Bivio, crocevia, ma è in momenti simili che stoffa e spessore si misurano.

Palla, dunque, a Manolo. Un’annata difficile per il classe ’91 scuola Atalanta, tutto agli atti. Pagliari profetico suo malgrado. Già il 4 agosto a Nizza aveva colto le pieghe di una stagione che per il suo assistito non avrebbe assunto le forme di quella, entusiasmante, da poco conclusa. Da secondo bomber tricolore più prolifico, venti sigilli e secondo solo a Luca Toni, ad alternativa di lusso costretta a svernare in panchina. Scampoli di gloria solo nel girone di Europa League, spazio risicatissimo in campionato. Le motivazioni di Sarri solide e irreprensibili, tra l’annata monstre di Higuain ed un assetto tattico indigesto alla riproposizione di una coppia, quella tra l’argentino di Brest e Gabbiadini, che nell’ultimo scorcio della gestione Benitez aveva incantato a più riprese. Come se non bastasse, qualche acciacco di troppo a falcidiarne la condizione fisica. E su quella, Sarri, non transige.

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L’abbraccio sentito nella corrida della Dacia Arena, la strenua voglia di placare l’animo del Pipita ad un passo dall’imponderabile poi avvenuto, appare come un reale passaggio di consegne. Se è vero come è vero che in avanti, più di qualsiasi altro reparto, la rosa azzurra è all’altezza di tener botta ad ogni livello ora è il momento di dimostrarlo. Di attingere al meglio dalla categorica volontà di Aurelio De Laurentiis, capace di resistere al canto di una Sirena ammaliante, materializzata nell’offerta sontuosa messa sul piatto dal Wolfsburg a gennaio. Verona, Inter e Bologna, in serie, tre gare decisive in cui il numero 23 partenopeo ha l’obbligo di tornare sé stesso. Protagonista, trascinatore. In attesa dei responsi dal ricorso contro la squalifica del delantero con il nove sulle spalle. Ritrovare la rete che manca dalla trasferta di Frosinone è un tarlo, stimolo e ossessione. Da mutare in obiettivo, da raggiungere e realizzare. La doppia cifra – sono sei le marcature stagionali – insinuando più di un dubbio nelle gerarchie di Conte in ottica Europeo, è perseguibile solo trascinando il gruppo nel momento più complesso della stagione. A testa alta, dunque, scaldando quel mancino in grado di disegnare meraviglie. Le annate in chiaroscuro rappresentano l’ordinario nella vita di un atleta. Difficili da accettare quando si scalpita, ci si sente in grado di fare la differenza, spaccare il mondo, forse, ma questo è quanto. Ecco la chiamata. Ora tanto è sulle sue spalle, nessun alibi, c’è da dare tutto in campo. Anche di più.

Edoardo Brancaccio

 

 

 

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