Il Pipita, la rabbia, la sconfitta: perché solo chi ama davvero finisce per soffrire così

Di lacrime non si muore, ma quanto fa male versarne. Anche se hai quasi trent’anni, anche se di colpe, vere o presunte, proprio non ne hai. Anche se sei uno tra i migliori giocatori al mondo e non avresti assolutamente nulla da invidiare. Anzi: forse qualcosa c’è. Appena un trofeo, una piccola vittoria. Che a Napoli sarebbe storica, ma che per te, per te Gonzalo, sarebbe solo la naturale conseguenza di un campionato al di fuori della normalità più spinta.

L’IMMAGINE – È uno specchio di verità, Higuain. Umano, troppo umano quando si vede sventolare un cartellino rosso già finito tra le chiacchiere da bar. Si sbraccia, aggancia Irrati, piange. Vuol trattenersi, tener duro: ma a che serve, ormai? Sembra tutto svanito in un istante, tutto perso in un fuoco che brucia di frustrazione, di delusione. È un buco nero: enorme. Non può non cader giù, non può non farlo rovinosamente. Per un istante dimenticando anche quanto di buono ha fatto, tutto ciò che resta meravigliosamente in ballo dopo una stagione al limite dell’anormale.

higuain 1

È che tutto viene fuori: la pressione di una squadra apparentemente irraggiungibile, la voglia di scrivere la storia, l’ansia di chi deve rincorrere un bolide e si ritrova con una station wagon appena un po’ ritoccata al motore. Che poi è lui a dare il gas, è sempre il Pipita. Lo è pure ad Udine: perché dopo il primo salto nel vuoto, l’aveva pure ripresa. Poi ha perso. Match e testa. E sì, probabilmente scudetto.

PERCHÉ FA MALE – Era in parte già successo allo Juventus Stadium: ma allora, la beffa ebbe il sapore di un destino avverso, di uno scherzo di chi probabilmente odia il romanticismo. Zaza in una fredda sera torinese, Irrati stavolta in un pomeriggio infame d’aprile: il gioco è inevitabilmente al massacro. Il suo, massacro. Poiché chiude i conti con titolo e storia, e forse inevitabilmente con la scarpa d’oro. Ecco: se era naturale sentirsi come Higuain a partita in corso, lo è ancor di più a mente fredda. È un macigno immenso, da sopportare e da sbollire. Da farlo paradossalmente con la calma, con quella dei forti, senza farsi prendere dal momento. Duro, penetrante, catartico: scegliete tranquillamente l’aggettivo migliore. Ma resta un momento. Ora il Napoli ha l’obbligo morale di chiudere al meglio la stagione, di crederci finché la matematica finirà gli scherzi del destino di questa stagione. Comunque vada a finire? Incredibile. Come Gonzalo. E no, l’immagine simbolo di quest’anno non sarà mai l’Higuain in lacrime di Udine. Non per chi l’ha visto sorridere trenta volte. Non per chi lo ama come il primo gol, come la prima esultanza sotto la curva. Non per chi, adesso, si sente esattamente come lui: incazzato, però innamorato. Follemente, irrimediabilmente, napoletanamente.

Cristiano Corbo

Home » Ultim'ora sul Calcio Napoli, le news » Il Pipita, la rabbia, la sconfitta: perché solo chi ama davvero finisce per soffrire così

Impostazioni privacy