Ad Udine come a Bologna: sequel terrificante. Un Napoli poco lucido cade sotto i colpi della pressione

Appannati, poco lucidi, troppo frenetici. Poi imprecisi, mentalmente altrove. Si può sintetizzare così il naufragio di Udine, dove i padroni di casa hanno fatto il bello ed il cattivo tempo, con un Napoli praticamente mai sceso in campo sul serio o, almeno, non come gli azzurri hanno abituato e sono soliti fare. Senza mordente, con poca convinzione, con troppa paura. Crocevia importante quello della Dacia Arena, per una stagione che ad ogni modo resta esaltante: una cavalcata, insomma, che una brutta sconfitta non potrà comunque mai cancellare.

La carta canta e i dati, in questo senso, parlano chiaramente: l’attacco del Napoli è stato annichilito dall’Udinese, che ha tirato per ben sette volte nello specchio della porta, guadagnando tre gol, a differenza dei soli due tiri degli azzurri, di cui uno, quello di Higuain, ha bucato la rete e aggiustato, momentaneamente, le cose. Poi tanta imprecisione: otto tiri fuori, per Insigne e compagni, incapaci di girare come al solito: beffardo, il destino, per il ventiquattro azzurro: protagonista assoluto nello stesso stadio con la Spagna, tra i più anonimi una settimana dopo. Ben trentacinque palle perse, nemmeno la metà quelle recuperate: solo diciassette, per una squadra che generalmente corre di più, soffre di meno e capitalizza meglio. Il resto è storia: tanti, troppi falli, sei ammonizioni, alcune pesanti, come quella di Koulibaly e poi l’espulsione, forse ingiusta, al Pipita Higuain: furioso, per usare un eufemismo. La partita del Napoli è tutta lì, in quella reazione dell’argentino. La testa, insomma, era altrove. La Juve va, su ritmi forsennati, le pressioni hanno fatto la differenza: segno che il Napoli dovrà ancora crescere e maturare tanto, soprattutto in vista della prossima stagione. C’è chi è abituato a certi ritmi, chi meno. Coperta corta? Meno qualità? Assolutamente, è tutta una questione di mentalità, componente che il Napoli sta via via acquistando. Ci vorrà tempo, ci vorrà pazienza e soprattutto ci vorrà convinzione. Da Udine, insomma, si deve ripartire.

Albiol Gabriel

In una sola occasione il Napoli aveva giocato peggio: a Bologna, in quel sei dicembre in cui le certezze acquisite nei mesi precedenti crollarono in pochi minuti. Alla Dacia Arena un sequel terrificante di quel sei dicembre al Dall’Ara, in cui certezze e convinzioni acquisite in mesi di duro lavoro, caddero mestamente per poi tornare più forti di prima. Ironia della sorte, anche in quel caso si giocò alle dodici e trenta: orario amaro da digerire, è il caso di dirlo. Anche in quel caso le statistiche furono chiare: un Bologna arrembante e più convinto affondava la nave azzurra, nella partita in cui anche Pepe Reina veniva meno. Altro scherzo del destino: a Bologna lo spagnolo fu spettatore in campo, ad Udine in panchina. Se manca lui, evidentemente, qualcosa non funziona. Anche in quel caso imprecisi e assenti, salvo poi rispondere nella ripresa: dodici tiri totali contro i ragazzi di Donadoni, sei in porta, con due reti, manco a dirlo, firmati dal solito Higuain. Poi tante palle perse, circa trenta, e diciassette recuperate, come contro l’Udinese, con ventinove passaggi sbagliati: il pezzo forte degli azzurri, insomma, quel fraseggio capace di incantare l’Italia e l’Europa. Tanto possesso a Bologna come ad Udine, inconcludente e nullo.

Due partite, in due periodi diversi dell’anno: stesso finale, con la differenza che una sconfitta ad aprile è più pesante di una a dicembre. Il campionato va, sfuma, con gli azzurri ora a meno sei dalla Juve. Occorre ritrovare energie e freschezza mentale, quella che più è mancata ad Udine e quella che in fondo ha sempre fatto la differenza. Vincere è l’unica cosa che conta, dicono da qualche parte. Ebbene si vince prima con la testa, con le convinzioni, con la fame. Elementi che il Napoli possiede ma che, contro Zapata e compagni, ha lasciato negli spogliatoi. L’unico diktat ora è ripartire, per il resto solo applausi per un campionato avvincente e mozzafiato.

GENNARO DONNARUMMA
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