“Le tue lacrime, le nostre lacrime: abbiamo perso una battaglia, non la guerra”

Gli occhi che piangono di più sono gli stessi che vedono meglio. È all’incirca questa, la sostanza di un ritorno tanto lungo quanto frastornante. Il Napoli si riaccomoda nel vagone dei sognatori dopo un brutto risveglio: uno di quelli deviati dalla sorte, non solo da Albiol. Zaza ha avuto la delicatezza di tua madre quand’è ora di alzarsi e tu sei già in ritardo del solito quarto d’ora: ci ha privato di quel piacere infinito ch’è cullarsi al sicuro, sotto coperte di certezze e senza la minima voglia d’affrontare la realtà a muso duro.

Ma gli occhi che piangono, dicevamo, sono anche quelli che non hanno paura: di frenarsi, di bagnare il volto, di significare. Un uomo deve saper piangere: l’ammise Sandro Pertini, uomo pure più di tanti. Lo ha certificato Gonzalo Higuain: che spesso sfugge dall’umano, sempre si carica sulle spalle chilometriche un treno intero di speranze e desideri. Uno di quelli ad alta frequentazione: perché da quando il carro ha iniziato ad andare forte, nessuno s’è perso l’occasione di saltarvi sopra. Inevitabile che alla fine scoppi: l’ha fatto solo nel modo più bastardo, nel momento più infame.

Ha pianto, il Pipita. Gli occhi si sono fatti rossi, il fiato corto, le certezze misere. Ha pianto perché sapeva di poter fare di più, forse di dover fare di più. Ha pianto perché umano, ma allo stesso tempo straordinario: nel senso di fuori dall’ordinario, sì. Le sue lacrime si sono unite col sudore, con le parole, con i gesti. Col cuore, immenso. Il suo e dei tifosi. Ecco perché quel volto gonfio e scosso, in fondo, è anche il nostro: è figlio della città, di un’attesa ch’è come sempre andata oltre ogni scossa d’adrenalina, oltre ogni sensazione, oltre ogni colore. Anche a Torino, anche allo Juventus Stadium, anche dopo il gol di Zaza: resta l’azzurro. Resta dentro. Abbiamo perso una battaglia, e malamente. Non abbiamo perso la guerra: siamo lì, a giocarcela, col padrone che ancora una volta s’è fatto beffe dell’operaio. Col direttore che ha schernito nuovamente il suo dipendente. Con quel tedioso insegnante di retorica che tarpa ali e detta legge grazie al permesso di chissà chi e chissà come.

Siamo lì, e ci siamo tutti. Noi, Napoli, Gonzalo. Che ha pianto, e probabilmente piangerà ancora nella sua vita. Ma che in quel preciso istante, più di tante altre volte, ha capito il vero valore della napoletanità: cadere, rialzarsi e tornare a sorridere. Da queste parti, per farlo, serve sempre poco. Servirà un suo gol, magari già dalla prossima. Perché niente asciuga più di una lacrima. E Cicerone, ogni tanto, c’aveva pure la sua ragione…

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Cristiano Corbo

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