Qui fu Napoli: quando il peggior Napoli della storia fece l’impresa al Delle Alpi. Quel goal annullato e le parole di Montefusco…

Riavvolgere il nastro per comprendere, al meglio, il proprio presente. Riaprire pagine di storia, impoleverate, apprezzando a pieno ciò che l’attualità offre. Una buona abitudine che ritorna in vista di quello che per l’intero movimento calcistico del belpaese è il match clou di questa stagione. Juventus-Napoli è alle porte, una gara Scudetto che riporta alla memoria sfide memorabili. Dal sorso di cicuta del 6 aprile del 1975, un 2-1 passato alla storia per il guizzo nel finale di Josè Altafini core n’grato; all’apoteosi del 9 novembre del 1986 con Ferrario, Giordano e Volpecina prime firme di un trionfo che rappresentò la colonna portante del primo tricolore azzurro. Non sempre, però, nella storia partenopea fatta di alterne fortune, la sfida all’ombra della Mole ha raccontato di palpitanti incontri con in palio la posta più ambita, tutt’altro. Come nel 1998.

Disastro. Un’annata balorda, iniziata all’insegna della rifondazione dettata da una crisi economica pronta a deflagrare da un momento all’altro. I sogni di gloria, a metà, di una finale di Coppa Italia e un campionato d’alta classifica per metà stagione dell’anno precedente ormai nel cassetto. Via Simoni, approdato agli opulenti lidi della Milano nerazzurra, con lui Colonnese, Milanese, Pecchia, Andrè Cruz, Boghossian. Una squadra comunque attrezzata per una salvezza tranquilla, con un occhio alle concorrenti, al netto di acquisti esotici e poco riusciti come Asanovic, Stojak e Calderon, oltre agli attempati Giannini e Allegri. Una rosa dove, comunque, emergevano giocatori come Taglialatela, Protti, Bellucci, Turrini, Ayala, Rossitto. Giocatori affidabili, alcuni ancora lontani dallo scrivere i capitoli più importanti della propria carriera, partecipi di quella che a conti fatti rappresenta la peggiore stagione della storia azzurra. Quattro allenatori: in una girandola che vide avvicendarsi Mutti, Galeone, Mazzone e Montefusco. Il misero bottino di 14 punti in classifica, record negativo azzurro nel calcio moderno. E non l’unico, maggior numero di sconfitte: 24, goal subiti: 76, minor numero di goal fatti: 25. Un de profundis lungo 34 giornate ed una retrocessione – la prima nell’era Ferlaino dopo oltre trent’anni – arrivata agli inizi di aprile a Parma, racchiusa nelle lacrime del Batman partenopeo tra le braccia di Fabio Cannavaro.

Ardore ed errori arbitrali. Di certo non proprio le premesse migliori con cui affrontare a domicilio la Juventus guidata da Marcello Lippi. Un gruppo che di lì a poco avrebbe conquistato il terzo scudetto in quattro stagioni, agguantando la terza finale consecutiva in Champions League. Un totem del calcio europeo composto da campioni quali Peruzzi, Montero, Deschamps, Davids, Zidane, Inzaghi e Del Piero. In campo anche l’ex allenatore bianconero e attuale cittì azzurro Antonio Conte. Una squadra in leggera flessione nella morsa di campionato e coppa il 14 marzo 1998, ma che avrebbe concluso la stagione con 15 vittorie su 17 gare disputate tra le mura del vecchio Delle Alpi, sulle cui ceneri ora si erge il moderno Juventus Stadium. Era la 25a giornata, con il gruppo di Montefusco già con un piede nella serie cadetta, solo 12 punti raccolti in 24 gare. Ma lì, al cospetto del gigante costruito dalla Triade, tutto, almeno per novanta minuti. si fermò. Spazio ad una domenica da ricordare per un gruppo tante volte letteralmente umiliato in quella stagione. Un Napoli frizzante, come non mai, in grado di attingere al meglio delle proprie risorse e che passarebbe persino in vantaggio alla mezzora della prima frazione di gara. Condizionale d’obbligo perché quello stacco di Bellucci, lestissimo a liberarsi tra le maglie della difesa avversaria, impatta sulla traversa e supera la linea di porta, per molti, per tutti dopo una sequenza di replay, ma non per Racalbuto ed i suoi collaboratori. Occasioni da non poter lasciar passare sotto silenzio perché, prima o poi, quella Juventus la strada verso la porta la trovava, sempre. Ed ecco la giocata del solito Del Piero formato Pallone d’Oro, chiuderà la stagione con 21 marcature in Serie A, che ubriaca l’intera retroguardia azzurra e supera un incolpevole Taglialatela con un destro potente e millimetrico sul secondo palo allo scadere del primo tempo.

L’impresa. Tutto finito? Per niente. L’undici azzurro rientra in campo nella ripresa ancora più convinto dei propri mezzi e prima sfiora il pari con Bellucci per poi trovarlo, al 69′ di gioco, con una giocata da cineteca di Turrini. Un sussulto da ala vecchio stampo, giocate che l’ex Piacenza aveva nelle corde, scatto bruciante tra le linee, evitato Di Livio, saltato Montero, per poi concludere con un tocco morbido che trova un varco alle spalle di Peruzzi e s’infila docile in rete. Una gioia dirompente ma breve perché tempo 5 minuti e i titoli di coda apparivano sempre più vivi sull’incontro. Prima l’incornata del giovane Zalayeta, straripante nel superare Baldini ed Altomare in marcatura e battere a rete. Poi l’espulsione di Goretti: doppia ammonizione, generosa, dopo un fallo sull’incontenibile centravanti uruguagio nella metà campo partenopea. In svantaggio di un goal e di un uomo in casa della capolista, con le flebili speranze che gradualmente si assottigliano fino a ridestarsi nel mancino di Protti. Un tiro a giro che il capocannoniere del Bari 94/95 aveva tenuto per mesi nell’armadio dei ricordi, per poi riporlo nuovamente: chiuderà la stagione con solo 4 reti. Una parabola perfetta che accarezza il palo e supera, ancora, Peruzzi al 92′. Poi il fischio finale, 2-2 in casa dell’undici più forte d’Italia, meritando anche qualcosa in più. Montefusco imboccando gli spogliatoi sussurrò a Taglialatela: “In dieci amm pareggiat a partit ca’ Juve, chest è importante”. Importante, una soddisfazione certo. Ma nulla più, dopo quell’impresa in casa dei giganti arrivarono altre quattro sconfitte consecutive e la retrocessione con largo anticipo. Ma questa, come già accennato, è un’altra storia.

Edoardo Brancaccio

 

 

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