L’allenatore operaio, cresciuto tra sacrifici e gavetta prima di arrivare al Napoli

Bagnoli è un quartiere operaio, dominato dalle ciminiere dell’ Italsider: il fumo che vi fuoriesce, per certi versi, ricorda quello della sigaretta di Maurizio Sarri, allenatore del Napoli, che in quel quartiere è nato e che da esso ha imparato forse una delle lezioni più belle: il lavoro è una cosa, la fatica un’altra. Si va avanti con sacrifici e sudore, non ci sono alternative.

Di quella lezione Maurizio ne ha fatto tesoro, fino ad arrivare sulla panchina della squadra che tifa fin da bambino: un napoletano sulla panchina del Napoli è quasi un sogno che si avvera, il completamento di un lungo percorso cominciato e svolto in periferia, prima dell’approdo nella grande piazza. Di strada ne ha fatta, di sigarette ne ha fumate e di sudore e fatica ormai conosce ogni sfumatura, ma sarà per questo che il suo lavoro paga sempre: le sue squadre lavorano duro, giocano e divertono divertendosi. E lui insegna calcio, col sorriso di chi ama il suo lavoro, quello stesso per il quale avrebbe pagato per farlo di notte.

In panchina va con la tuta, come se fosse in fabbrica: la giacca e la cravatta non gli piacciono, gli stanno strette. Lui va come un operaio , col sorriso sulla faccia e consapevole di dover lavorare duro per guadagnarsi qualcosa. Ora quel qualcosa è il Napoli, che via via diventa sempre più squadra, solida e sicura, affamata di vittorie e desiderosa di lavorare per crescere e costruire, finalmente, un progetto importante. Comincia ad intravvedersi una armatura forgiata alla perfezione da un fabbro di qualità, quel Sarri allenatore operaio, che richiama ed elogia, quando necessario, i suoi e che a Napoli è arrivato per lasciare tracce del suo lavoro, mai dimentico di quegli insegnamenti imparati da figlio di operaio e sapientemente applicati nel corso della sua formazione, fino all’arrivo all’ombra del Vesuvio.

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