La “connessione” del Napoli: il gioco è fluido, veloce, dinamico. E con tanti registi a prendersi responsabilità…

Il carro si fa un po’ più grande, il Napoli pure. La notte del San Paolo ha un cielo azzurro che fa fatica a decidere la stella del riscatto: perché lì, in mezzo al campo, c’è stato un viavai di giocate ed emozioni, di colpi e sensazioni. E perché il Napoli, forse mai come prima, ha un gruppo di uomini: che gioca, prende rischi, azzarda. E che dà spettacolo con tremenda semplicità, da grande squadra.

LA ‘CONNESSIONE’ – Connessione. In campo, fuori, tra la gente. La magia del Napoli in una sola parola: che unisce, vibra forte. E che lega trame di gioco forse mai viste prima, se non tra quelle parole incastonate nel “progetto europeo”, in quel sogno leggiadro sbriciolatosi tra chiacchiere precoci e senza fondamenta. E poi, chissà: forse la molla è scattata proprio nel ricordo dell’amarezza d’inizio estate. Di un’annata partita male, finita peggio. O forse il merito è semplicemente di un Sarri sorprendentemente camaleontico, di un Insigne da stropicciarsi gli occhi. E poi di un Allan già rodato, di un Jorginho finalmente in rampa di lancio. E sì, pure di un Higuain versione cacciatore: prima ammazza l’aquila con un colpo da cecchino, poi se la divora.

AMALGAMA – Ecco: unendo i singoli, vien fuori una squadra. Una gran bella squadra. Attenta, corta, ben allineata dal primo al novantesimo. E anche niente male da vedere, con quel suo tikitaka forse – a tratti – ancora un po’ troppo lento, un po’ troppo impacciato. Eppure il colpo c’è, il guizzo pure: e ciò non sarebbe possibile se alla base non ci fossero i movimenti delle punte. Scatenate, vogliose. E finalmente ciniche. Con quel fiuto per la porta che in fondo facilita le cose anche ai difensori: dietro si balla molto meno se le gambe non tremano.

PADRONI DEL GIOCO – Più di 560 passaggi riusciti su 643 effettuati, con una media di scambi in verticale che sfiora appena il 30 percento. Cosa significa? Che il gioco del Napoli è fatto di tocchi semplici, non affrettati, non forzati. Perciò giusti, dosati. E con un margine assolutamente minimo d’errore. Banalmente, Sarri può pensare che in mezzo al campo le cose vadano per il verso giusto: perché si ragiona step by step, tenendo il pallino del gioco saldamente in mano (64% di possesso) e strozzando l’offensiva avversaria con un pressing sensato sebbene dispendioso. È che finalmente c’è qualcuno che fa girare il motore azzurro. Anzi: più di qualcuno. Dal vertice basso Jorginho, alle incursioni palla al piede di Hamsik. Passando per quei guizzi millimetrici di un Allan magnificamente ispirato, per la maestria con cui Higuain viene a prendersi palla per poi scaricare ai compagni.

Fino ad arrivare, con un sorriso infinito, proprio ai piedi Lorenzo Insigne: playmaker indiscusso e indiscutibile, leader totale di un giropalla che nella notte del San Paolo ha costruito un po’ di storia partenopea. È lui, il primo a prendersi la squadra sulle spalle; è lui, con quel carico di responsabilità che si sposa perfettamente e paradossalmente con la leggerezza che lo contraddistingue. È lui, ma non solo lui. È il nuovo Napoli: fatto di polsi fermi e zero irruenza, di tanta collettività col giusto condimento di talento individuale. E fatto di un moto ordinato attorno al “sole” col numero nove. Questa, l’ultima scoperta di Galileo Sarri. Nessuna eresia. E, si spera, d’ora in poi neanche alcun processo.

Cristiano Corbo

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