Marca Plus, Reina: “Contento della mia carriera, rifarei tutto. Il Napoli? Un anno stupendo, ecco perché scelsi l’azzurro”

Il portiere del Bayern Monaco Pepe Reina ha rilasciato una lunghissima intervista a Marca Plus parlando della sua carriera tra passato, presente e futuro, soffermandosi anche sullo splendido anno al Napoli ed ai motivi della sua scelta, raccontando ciò che lo lega maggiormente alla città partenopea. Ecco quanto tradotto ed evidenziato da SpazioNapoli.

GLI INIZI. “Tutto ciò che mi viene in mente pensando al periodo con il Fùtbol Madrid Oeste de Boadilla è speciale. Non mi sarei mai immaginato di diventare un calciatore professionista nonostante fosse già il mio sogno. Facevo ciò che amavo, ero spensierato ed in un bellissimo ambiente. A tredici anni poi, passo a la Masìa (le giovanili del Barcellona ndr). Non è stato facile perché non ho vissuto la mia infanzia, sono andato via di casa molto presto ed ho dovuto superare momenti difficili ma sono maturato e cresciuto tanto, un passaggio fondamentale per diventare professionista. Con Van Gaal poi, ho provato il brivido della prima squadra. E’ stato tutto molto veloce e stupendo, avevo sedici anni ed il mister mi chiamò per parlare insieme a Ruud Hesp, che poi è diventato il mio secondo papà. Nel 2000, ho l’opportunità di debuttare ma la stagione seguente ho dovuto lasciare il club. Nonostante ciò sarò sempre riconoscente al Barcellona ma quelli erano anni difficili per il club, sportivamente e come società. Non vincevamo, subivamo troppe reti ed i tifosi trovarono un capro espiatorio, che comprendeva anche me. Ma era una scelta giusta, ero giovane e dovevo ancora maturare”.

IL VILLARREAL ED IL LIVERPOOL. “La mia idea era fare un passo indietro per poi farne uno in avanti. Lo dico sempre: “meglio essere testa di topo che coda di leone”. La dimensione del club in quel momento mi ha fatto crescere tanto e sono stati anni splendidi. Al Liverpool invece è stata una storia a parte: ricordo che al mio arrivo pioveva ma al debutto ad Anfield fu un’emozione fortissima, così come ascoltare “You’ll never walk alone”. Anche calcisticamente parlando, fu un periodo splendido, vincevamo spesso e puntavamo a tutto. Peccato però, non essermene andato con uno Scudetto… Il tifo tedesco è simile a quello inglese, il calcio è quasi come una religione. Sul cibo, non mi sento un esperto di piatti tipici. Essendo uno spagnolo abituato bene, quando vado fuori con amici scelgo ristoranti giapponesi o italiani. L’addio di Gerrard? In Spagna questi saluti sono un po’ più freddi, in Inghilterra sono più enfatizzati ma è un bene, perchè un giocatore come lui lo merita davvero”.

IL NAPOLI ED IL BAYERN. “Napoli è molto diversa da Liverpool è vero. Ma la mia scelta è stata condizionata da tre fattori: il primo, il progetto sportivo. Poi, l’idea di essere allenato da Rafa Benitez, il miglior tecnico che ho mai avuto. Poi il luogo: è una città splendida dove vivere, è molto simile alla Spagna del Sud. E’ stato un anno indimenticabile: vincemmo una Coppa, ho incontrato tanti amici e sono stato benissimo. In azzurro ero titolare, al Bayern Monaco invece ho giocato pochissimo. E’ stata una stagione molto più difficile del previsto, sono arrivato come secondo ma ho trovato poco spazio anche perchè spesso infortunato. Non mi sono sentito preso in giro, sapevo a cosa andassi incontro. Il contratto mi lega ancora ai tedeschi ma la mia idea è giocare di più, vedremo cosa succede. Ho imparato tanto da Neuer e Guardiola ed è stato un campionato soddisfacente: campioni della Coppa, della Bundesliga e semifinale di Champions contro un gran Barcellona”.

IL CALCIO MODERNO. “In un club grande, i risultati contano. E’ vero però, che spesso si giudica senza mezze misure ed i tifosi vorrebbero che vincessimo tutto e sempre e non sempre è possibile, lamentandosi quando non succede. Mi trovo bene in Germania nonostante tutto, mi sono abituato a gente, luoghi, cibo e birra. La lingua è molto difficile ma non ho paura di provare e sbagliare, mi butto ed imparo”.

RICORDI DI NAZIONALE. “Molti miei ricordi sono legati a Luis Aragonés. Una persona splendida, di un umorismo fuori dal comune. L’inventore del tiquitaca e del bel calcio, buttando le basi per tutto ciò che si è creato dopo di spettacolare. Della vittoria del Mondiale ricordo due cose: feci tardi perchè fermo al controllo antidoping e le lacrime di Torres, infortunato e che combatteva contro il dolore saltando così una notte per noi speciale. La peggior notte fu quella della sconfitta contro l’Olanda, una cinquina dura da digerire. I momenti difficili ci sono stati ma con Aragonés li abbiamo sempre superati, diventando una squadra compatta ed invincibile. Del Bosque ora sa al meglio come continuare un buon percorso, è un ottimo allenatore”.

IL FUTURO. “Cosa direi a me stesso guardandomi indietro? Rifarei tutto, dall’inizio alla fine. Anche la gavetta al Barcellona, in quell’anno difficilissimo. Bisogna passare dai momenti in salita per raccogliere le migliori soddisfazioni”.

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