Ecco cosa significa diventare grandi: Marek, Insigne, e le certezze da cui ripartire

“Sin prisa pero sin pausa“.Con questo motto Rafa Benitez si è presentato a Napoli e ai napoletani, mirando all’orizzonte, facendo sognare un’intera tifoseria. Era l’internazionalizzazione, il salto di qualità, il momento giusto per tornare grandi.

Questi due anni, diciamocelo, sono andati alla grande, nel bene e nel male. Grandissime emozioni, grandissimi errori, enormi delusioni. La finale di Supercoppa contro la Juve rimarrà scolpita nelle nostre anime, la sfida dentro o fuori di ieri sera al San Paolo contro la Lazio sarà difficile da dimenticare. Per come è venuta, per come si è sviluppata, per le potenzialità e gli organici delle due squadre.

“Sin prisa pero sin pausa”, ripeteva Benitez. E quasi quasi il miracolo stava per succedere. Sul 2-0 sembrava finita. Sul 2-2 tutti, prima o poi, tutti si aspettavano la stoccata finale, quella decisiva. E invece il destino ha scritto la storia all’incontrario, punendo un generosissimo Maggio, premiando l’appena entrato Onazi, schiacciando come un macigno l’anima del Pipita, che poco prima aveva sbagliato il rigore che poteva mettere la freccia.

Il Pipita, dicevamo. Che ne sarà di lui? In pochi lo sanno. Le sirene si fanno sentire, i milioni offerti al club stridono nelle orecchie del presidente De Laurentiis. Non resta che appellarsi alla volontà di rivincita dell’argentino, che ha sulle spalle e sul cuore il peso di un errore, ahi noi, decisivo.

Non doveva andare così, eppure si cresce anche attraverso le sconfitte, e le annata sbagliate. Siamo finiti quinti, qualche minuto prima potevamo essere terzi, con annessa musichetta inclusa. E’ il calcio, bellezza.

C’è una certezza, però, da cui ripartire: gli applausi di Insigne, le lacrime di Hamsik, la professionalità di chi non ha mai mollato fino all’ultimo secondo dell’ultima partita. Il capitano è il simbolo del Napoli che vuole ripartire, di quello che sta male fin dentro l’anima per la disfatta Champions; il capitano, oggi come ieri, è l’emblema della piazza. Marek resterà, non ci sono sirene per lui che possano cantare: perché sa che, un giorno, vincere qui sarà ancora più bello per chi c’è sempre stato.

Raffaele Nappi

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