Dalla speranza all’illusione fino all’amara delusione: le mille contraddizioni di una notte azzurra completamente assurda

L’ultima domenica di campionato non è mai una giornata qualunque. Si stilano i primi bilanci, si pensa a ciò che è stato e ciò che sarà ma soprattutto, si pensa a riempirsi degli occhi di calcio, pronti per affrontare tre mesi o poco meno senza lo sport che si ama e la squadra che muove ogni attimo della propria giornata e della propria vita per le 40 settimane successive. Insomma, si fa di tutto per sopperire all’imminente crisi di astinenza estiva, che nulla potrà guarire: né le vacanze, né un viaggio, né la famiglia. Quest’anno però, è stato tutto diverso. Il 31 maggio 2015 sarà per molti tifosi ricordato come la nuova data della liberazione. Non quella da Rafa Benitez, ma dalle sofferenze di una stagione e di un desino che si è preso fino alla fine gioco dei poveri “malati” partenopei e che ieri, al “San Paolo”, hanno davvero rischiato la vita.

LE MONTAGNE RUSSE. Abbiamo scritto quasi continuamente di come questa stagione il Napoli si divertisse a complicarsi la vita, a non sfruttare tutte le occasioni ricevute, conquistate e regalate per ambire a qualcosa di importante. Ecco, anche il finale di stagione, il saggio di fine anno come detto da qualcuno sponda giallorossa, non ha lasciato trapelare differenze. Contro la Lazio per agguantare la Champions bisogna vincere, senza alibi e senza appello. Le carte in regola per farlo c’erano: inizio di marca azzurra, tantissime occasioni create, una rete sfiorata (o meglio divorata… ndr) da Callejon in avvio, grande intensità, un pubblico straordinario in una Fuorigrotta gremita, strabordante ed ansimante. E poi il black out, dovuto ad un modulo della Lazio che non lasciava spazi e che mortificava il centrocampo di casa. Due tiri dei capitolini e due gol, con un silenzio quasi assordante che tramuta una giornata che poteva essere gloriosa in un grande incubo. All’intervallo c’è chi litiga e si infuria. “La colpa è di Benitez”, “No, è di Higuain”, “E’ il presidente che ha sbagliato tutto”. C’è chi prega, chi mangia, chi va a prendere aria. Il Napoli però è imprevedibile e nella ripresa sfiora l’impresa: Higuain e poi ancora Higuain conquista il pari, portandosi persino in superiorità numerica. Lo stadio è una bolgia, la gente grida, urla, si abbraccia. Ci crede, come non mai. la partita è lunga e basta un altro piccolo sforzo. Chi prima colpevolizzava tutti, adesso è in shock adrenalinico: si ride, volano le sciarpe, si spera.

“CCA’ STASERA SE MORE”. Ma il bello deve ancora venire. Lazio in dieci. Tutto liscio come l’olio. Ma poi anche il Napoli è in dieci ma resta in gara. Poi, al 76′ la svolta: calcio di rigore. Il “San Paolo” esplode, è il momento che vale una stagione. Il sorpasso, l’aggancio alla Champions, il riscatto. C’è chi piange, chi si gira e chi urla soltanto una frase: “Ccà stasera se more!”. Perfetta sintesi del momento e della nottata. Sul dischetto si porta Higuain e, qualche secondo dopo, c’è chi è morto davvero dentro, di una delusione cocente che fa ancora fatica ad andare via.  Ciò che accade dopo lo conosciamo fin troppo bene ed è inutile ricordarlo. Sulle montagne russe ci siamo saliti tutti, dal pre partita con la bellissima standing ovation per l’addio al Petisso, fino agli sguardi inconsapevoli dei festeggiamenti dei capitolini a casa nostra, ancora un volta espugnata.

THE END. Questa volta i tifosi azzurri gli occhi non vogliono più riempirli. La mente ancora, preferiscono svuotarla. Si volta pagina, si cerca di accantonare ciò che è stato. Non sarà un’annata non da ricordare a minare il loro orgoglio: per chi era al fianco della società dalla C ed ancor prima, è soltanto un corposo passo falso. Ma c’è bisogno di rispetto, per ciò che non è stato e ciò che è stato vissuto con intensità e dedizione. Rispetto anche da chi, invece di un messaggio di arrivederci o un ringraziamento, ha preferito un selfie sorridente, proprio oggi che Napoli è ancora arrabbiata e non fa altro che parlare di quel rigore fallito o di quegli svarioni in difesa. Rispetto per una città che vive di calcio, per una tifoseria, per i sogni infranti di quei ragazzini che al fischio finale hanno salutato il “San Paolo” con le lacrime. Sperando che presto, si trasformeranno ancora in sorrisi. Per ora, arrivederci Napoli.

Alessia Bartiromo
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