La resa di Higuain è la sintesi di una stagione tanto ambiziosa quanto traumatica

Croce e delizia, è così il Napoli di Rafa Benitez dell’ultima stagione. Una sofferenza continua, attenuata a tratti da qualche prestazione fuori dalla norma che ha provato ad illudere chiunque: dalla squadra, ai tifosi, passando per la società stessa. Il vocione di De Laurentiis si è alzato troppo tardi, come spesso la concentrazione della rosa schierata dallo spagnolo. Quello visto a Torino è solo l’ennesima copia di quello andato in scena per l’intera annata, di mal di pancia e fiato sprecato. Una sconfitta, quella con la Juve, non solo pesante, ma brutta come la prestazione della squadra, trascinata – se così si può dire – da uomini senza motivazioni e carattere.

PERCHÉ, GONZALO? – In cima alla lista spicca il nome di Gonzalo Higuain. Il Pipita, acclamato prima e fischiato poi, regge un solo tempo di gioco, tra l’incredulità dei tifosi azzurri e la consapevolezza di Benitez che in fondo nemmeno lui può. L’adagiarsi, atteggiamento comune della maggioranza partenopea, è l’apoteosi di un ciclo che sta per chiudersi. Inutile l’apporto dell’argentino nella trasferta torinese, che non vive certo il suo periodo migliore, ma ancora una volta è incapace di mostrarsi decisivo quando serve. Non tanto nell’andare a segno, quanto nella voglia e la convinzione di poter competere con una Juve che gioca poco e non ha di certo alcun motivo in più per raggiungere il risultato. Si addormenta, il Pipita, seguito velocemente dal resto dei compagni, fatta eccezione per la brillantezza e il coraggio di pochi. Una stagione, la sua, che racchiude alla perfezione l’andamento del suo Napoli, inseguitore di ambizioni, ma ad un passo dal fallimento totale.

LO SPECCHIO DEL NAPOLI – Dopo la Coppa Italia e l’Europa League, gli azzurri vedono allontanarsi ulteriormente anche il terzo posto, obiettivo minimo stagionale imposto dalla società. Non è così che deve andare, ma nulla si può davanti alla carenza di stimoli e alla poca cattiveria agonistica di un leader – che tale spesso non ha saputo dimostrarsi – e del resto della squadra. La rabbia lascia il posto all’amarezza, quella stessa che ha pochi effetti su chi invece quella maglia dovrebbe sudarla e onorarla per la città e l’amore investito. Vietato mettere in discussione le qualità tecniche di un calciatore che, nelle serate migliori, ha messo in luce brillantezza e classe. Il carattere del Pipita resta però lo specchio esatto di un Napoli che dovrà ripartire da zero, a caccia di rinforzi, determinazione e quella maturità che ha condannato perfino la bravura e la carriera di un allenatore che avrebbe potuto fare la differenza.

Francesca Di Vito

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