Non c’è fatturato che tenga, quando manca il carattere si perde contro ogni avversario

Sono i giorni seguenti il grande tonfo. Quello in cui la lucidità dovrebbe prendere il sopravvento sulle emozioni estemporanee, su quell’enorme fitta allo stomaco che ha attanagliato ogni tifoso azzurro al momento del fischio finale dell’arbitro Mažić, alla conseguente festa del Dnipro per una storica finale e che fatica ad andare via. Storica, come sarebbe potuta e dovuta essere quella del Napoli. Ed è forse proprio per questo motivo che, nonostante siano passate tante ore, il rammarico stenta a scemare. È il rimpianto dell’occasione avuta ad un palmo dal naso, così vicina da toccarla, sentirla, viverla, ma vista miseramente sfumare.

NON SEMPRE È UNA QUESTIONE DI NUMERI – Il Napoli lascia in Ucraina i propri sogni di gloria europei e lo fa uscendo sconfitto dalla contesa da una squadra sulla carta di livello tecnico inferiore (e non è la prima volta in questa stagione, anzi: è la fotografia del preoccupante leitmotiv degli azzurri nel biennio spagnolo). Meno blasone, meno campioni, meno fatturato, monte ingaggi inferiore per il Dnipro ma una fame e una voglia di arrivare in finale che al Napoli è mancata.

“I soldi contano nel calcio, normalmente vince chi spende di più. Il gap con Juventus e Roma può essere colmato soltanto così”. Tuonava così Rafa Benitez il 6 dicembre dello scorso anno in occasione della conferenza stampa di presentazione di Napoli-Empoli. Un ragionamento lineare, secondo il quale vale la legge del più forte, in questo caso del più ricco. In quella circostanza, dunque, non ci sarebbe dovuta essere partita con il modesto Empoli. Il match, però, si rivelò più che insidioso per gli azzurri che riagguantarono il preggio solo nel finale aver sofferto per 45 minuti e oltre le sfuriate dei ragazzi di Sarri. Mentre la lezione del Castellani, alla gara di ritorno, è ancora sotto gli occhi di tutti.

E non ci sarebbe dovuta essere storia nemmeno contro la Dnipro. Conti alla mano, il club di Dnipropetrovs’k presenta un valore di mercato della rosa che si aggira sugli 82 mln di euro. Poca cosa rispetto ai sonanti 252, 75 mln di euro della rosa azzurra. E così come, sulla carta, non ci sarebbe dovuta essere storia contro l’Athletic Bilbao (111,20 mln di euro) nel preliminare di Champions League.

ALTRI FATTORI – Ma spesso nel calcio non c’è monte ingaggi, fatturato o denaro che tenga. Oltre i numeri, gli stipendi e l’indice economico di una squadra c’è il cuore, la volontà, la rabbia negli occhi. Tutte caratteristiche che il Napoli ha palesemente mostrato di non possedere nella piovosa notte di Kiev dove è mancato il carattere, dove è mancata la foga, dove quasi non è sembrato che 11 calciatori si stessero giocando il destino di una stagione in 90 minuti.

Altrimenti non si spiega che un misconosciuto quale Seleznyov, valore di mercato poco più di 4 mln di euro, trasformi in oro le uniche due occasioni capitategli a tiro portando con i suoi gol (viziati da irregolarità, sia all’andata che al ritorno) il Dnipro in semifinale mentre Higuain, affermato top player di livello internazionale, valore di mercato oltre 40 mln di euro, faccia perdere il conto ai propri tifosi delle volte in cui in 180 minuti si è presentato da solo davanti al portiere Boyko fallendo il bersaglio.

LE COLPE – Sarebbe deleterio additare le colpe di un fallimento nei confronti di questo o di quel calciatore, o pretendere la testa di Rafa Benitez come alcuni invocano in queste ore. Le colpe sono da divedere salomonicamente. Senza escludere, naturalmente, il tecnico madrileno.

“Quando sono arrivato al Chelsea l’ho colmato il gap, l’ho fatto pure con Liverpool e Valencia. Non è facile, bisogna essere uniti”. Continuava Benitez, tornando a quel 6 dicembre 2014.

Tatticismi a parte, giovedì sera è apparso evidente che il lavoro propugnato da Rafa negli ultimi due anni per colmare questo divario non si è rivelato ancora abbastanza.

Antonio Allard (@antonioallard1)

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