La sestina di Moen ricorda Ovrebo, una serata da incubo a macchiare una semifinale europea

L’estremo difensore degli ucraini, Boyko, è stato senza dubbio alcuno il migliore in campo della sfida di ieri del San Paolo. Una serie di parate efficaci, di certo non badando allo stile, a costruire un muro su cui gli azzurri, ed in particolare un Gonzalo Higuain non ispirato come consuetudine vorrebbe, hanno impattato mestamente.

Ammissione di colpa ma… – L’epilogo di Napoli-Dnipro, un 1-1 che costringe gli azzurri a espugnare l’Olympysky di Kiev la prossima settimana, porta i segni fortissimi di una truppa, quella di Rafa Benitez, che non è stata in grado di assestare il colpo di grazia ad un nemico ormai alle corde dopo lo spunto di David Lopez. Un pareggio dai forti rimpianti, dal quale è necessario trarre spunto, guardarsi dentro e riconoscere i propri errori, come onestà intellettuale richiede, ma compromesso in maniera inequivocabile da un arbitraggio non all’altezza di una semifinale europea.

Incubo novergese – In campo europeo non è una novità vedere sfide in cui a fare la differenza, più delle gesta degli atleti, è l’incapacità della direzione di gara. Gli appassionati ricorderanno le mirabolanti imprese dell’arbitro norvegese Tom Henning Ovrebo, che tra il 2009 e il 2010 decise qualificazioni a suon di fischi a dir poco opinabili. Chelsea e Fiorentina su tutte, vittime designate a margine di arbitraggi inaccettabili. Sempre dalla Scandinavia arriva la sestina della sfida di ieri, quella guidata dall’arbitro Svein Oddvar Moen, ed ecco il deja vu, riportando la memoria agli occhi spiritati di Drogba o allo stupore della dirigenza viola al termine della sfida contro il Bayern Monaco. La furia del presidente  Aurelio De Laurentiis è esplosa perentoria, cocente, a caldo, ma a ragion veduta. Quando si compete nell’elitè del calcio europeo è necessario che lo spettacolo venga tutelato da una direzione di gara all’altezza di tali palcoscenici. Troppi gli errori a condizionare la gara di ieri, fischi improbabili a metà campo a foraggiare la scenicità dei giocatori ucraini, fuorigioco immaginari a spegnere sul nascere azioni azzurre, per poi chiudere con il capolavoro: il goal del pareggio di Seleznyov. Non un semplice errore marchiano, quello dell’assistente Haglund, un vero e proprio orrore – un doppio fuorigioco in linea, fin troppo semplice da annotare – a scompaginare il responso di una contesa, sul campo, a senso unico. Superare quest’incidente di percorso è un obbligo per i partenopei, la speranza, dall’altro lato, è che a Nyon chi di dovere abbia compreso: mentre il dibattito per introdurre – in maniera definitiva e non con la semplice goal line tecnology – un reale supporto tecnologico ai direttori di gara è ancora accesissimo, che almeno si forniscano professionisti di spessore, un onere dovuto per la Uefa, un diritto per squadre e spettatori.

Edoardo Brancaccio

 

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