Le tragedie meriterebbero verità e rispetto, basta infangare il nome di Ciro e della famiglia Esposito!

A ripensare ciò che è successo quel lontano e maledetto 3 maggio viene rabbia. Rabbia perché un ragazzo poco meno che trentenne non può morire così,  ad un terzo della sua vita e per una partita di calcio, vittima gratuita della furia di un folle. Rabbia perché era una tragedia evitabile: bastava più controllo, una migliore organizzazione, soccorsi più repentini. Lo abbiamo ripetuto mille volte in questo anno: il piano sicurezza della scorsa Coppa Italia a Roma è stato un fallimento, forse convinti che si potesse prendere sotto gamba la situazione e l’esodo delle due tifoserie, perché in fondo, la Fiorentina non è la Juventus ed il rischio incidenti non era alto. Ma nulla doveva essere lasciato al caso o a sé, tanto meno in un luogo di forzato passaggio per raggiungere l’Olimpico. Poteva diventare una strage: ad avere la peggio un solo ragazzo, che ha lasciato questo mondo quasi due mesi dopo, in seguito ad atroci sofferenze.

Ciro non meritava tutto ciò, così come non lo avrebbe meritato nessuno. Non si può uscire di casa senza sapere di non tornarvi più, vittima di un destino, cattivo, atroce, insensato che ti condanna. La famiglia Esposito non meritava tutto ciò ed ha vissuto un vero dramma con immensa correttezza, non aizzando mai gli animi, non chiedendo mai giustizia o vendetta (facilmente perseguibile ndr) ma solo verità. Perché è così che ci si dovrebbe approcciare alle tragedie, quelle pubbliche, quelle che non ti lasciano da sola con il tuo dolore. Un esempio ne fu anche il funerale, dove tra tifosi, autorità, giocatori del Napoli, familiari e conoscenti, ci fu un vero e proprio bagno di folla. Ma tutto passa in secondo piano rispetto al dolore di una madre che ha visto immotivatamente spegnersi suo figlio, il dramma più grande che possa accadere.

Ognuno poi, il dolore lo vive a modo proprio: c’è chi si circonda da gente per esorcizzarlo, chi preferisce il buio e la solitudine, chi urla e strilla e chi sorride. Perché il miglior modo per non gettare benzina sul fuoco è porgere l’altra guancia e far sì che quel maledetto tre maggio non si ripeti più. E’ questa la missione di Antonella, mamma guerriera che ogni giorno combatte due battaglie: trovare una ragione per andare avanti ed onorare il nome del figlio, in attesa dell’evolversi di un Processo che chissà darà la giusta ricompensa a chi ha posto fine alla vita di uno splendido ragazzo di passaggio a Tor di Quinto. Vuole aiutare chi ne ha bisogno, far sì che se ne parli in attesa d un responso per non far cadere la faccenda ne dimenticatoio e non avere un verdetto.

Il dolore di una mamma non si discute, né si critica. Il dolore merita solo rispetto e silenzio dagli estranei. In molti non lo hanno capito e mai lo faranno, persi dietro alla superficialità di un cameratismo squallido ed ingiusto. Ciro, Antonella e la famiglia Esposito meritano l’appoggio di chi li comprende e l’indifferenza di chi vuole solo giudicare. Che sia l’ultimo di un week end di vergogna in Curva e che per una volta, si prendano i giusti provvedimenti.

Alessia Bartiromo
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