La Scugnizzeria Mancata – Giorgio Di Vicino, il Maradona di Pianura

Il tema del vivaio è tornato d’attualità da quando il presidentissimo del Napoli, Aurelio De Laurentiis, battezzò con il nome “scugnizzeria” le giovanili del Napoli, serbatoio da cui il club azzurro, ogni stagione, avrebbe dovuto attingere per rimpinguare la prima squadra con ragazzi (partenopei) e di belle speranze seguendo il modello di Roma e Atalanta; il tutto praticamente a costo zero.
Ma facciamo un passo indietro: ciò che sorprende è che una città innamorata del pallone e che di fatto vive per i colori azzurri come Napoli, con un bacino d’utenza che ha pochi eguali in Serie A, abbia consegnato al grande calcio pochi, se non pochissimi, calciatori di valore, molti dei quali – agli albori – considerati delle grandissime promesse e che il più delle volte si sono persi fra i pesantissimi campi della Lega Pro.

Iniziamo il nostro breve excursus sui campioni (mancati) del vivaio partenopeo partendo dal talento inespresso per eccellenza, ovvero Giorgio Di Vicino: classe 1980, nasce come centrocampista con attitudini offensive; in gioventù viene impiegato come esterno d’attacco o, all’occorrenza, come seconda punta; brevilineo, specialista nei calci piazzati, il suo piede sinistro fatato fece strabuzzare gli occhi di numerosi addetti ai lavori. Da subito il giovane di Pianura divenne oggetto di paragoni scomodissimi, e dopo un anno da protagonista in prestito alla Spal (nell’ormai ex serie C1) a soli venti anni fece rientro alla base e confermato in prima squadra dall’allora allenatore del Napoli,  Zdenek Zeman, uno di quelli che sui giovani ha sempre avuto l’occhio lungo; siamo nel settembre 2000, nelle amichevoli precampionato Di Vicino incanta, addirittura attirando su di se le lusinghe del Real Madrid; sembra tutto pronto per il grande salto ma sul più bello le cose iniziano ad andare storte: inizia il campionato, 6 spezzoni di partita incolori, a novembre l’esonero del boemo, e un Napoli che naviga sul fondo della classifica; Di Vicino viene marchiato come inesperto, inadeguato, non pronto alle pressioni della Serie A e al pubblico del San Paolo, da sempre molto esigente con i prodotti di casa; come se non bastasse, a Gennaio, il nuovo allenatore del Napoli, Emiliano Mondonico, decide di non puntare su di lui e mandarlo in prestito in B al Crotone (dove giocherà pochissimo) legittimando di fatto quelle etichette che poi saranno marchiate a fuoco sulla pelle del giovane calciatore.

Un anno dopo è ancora il suo mentore Zeman a cercarlo, stavolta in Serie B, alla Salernitana, se non altro vicino casa; i granata si aggiudicano il suo cartellino per pochi spiccioli, sarà un campionato di alti (pochi) e bassi (tanti) dove la stessa compagine campana scamperà per un nulla la Serie C quando le ambizioni di inizio campionato erano tutt’altre.

Dopo un anno di prestito a Lecce (da comprimario), torna nel 2003/2004 alla Salernitana dove consumerà la stagione migliore della sua carriera a livello personale, 40 presenze e 8 gol, ma con un epilogo tragico: Salernitana retrocessa in Serie C e da ultima in classifica.

Gli anni a venire saranno un saliscendi tra la Lega Pro e i Dilettanti, dove i momenti migliori verranno raccolti a San Benedetto del Tronto, dove in un biennio lascerà giocate e gol di chi poteva essere grande ma non lo è mai diventato, squarciando i ricordi di chi, in lui, intravedeva le gesta dei più grandi talenti italiani.

Con i “se” e con i “ma” non si fa la storia, ma se non avesse avuto l’etichetta del predestinato attaccato al collo e la spada di Damocle del fallimento di chi ha grandi doti ed è chiamato a dimostrarle ad ogni partita, oggi probabilmente parleremmo di un giocatore diverso; invece raccontiamo di un atletache ha dato il meglio di sé in una delle rivali storiche dell’SSC Napoli e che, di tanto in tanto, illumina con le sue giocate i campetti di provincia.

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