29 anni dopo, “In memoria e amicizia”

Ci sono eventi di fronte ai quali fare distinzioni di colore o fazione risulta inappropriato, anzi, diciamolo, del tutto stupido. Eventi di fronte ai quali è difficile rimanere indifferenti e che lasciano (o dovrebbero lasciare) un segno profondo nella coscienza individuale e collettiva delle persone. La strage dell’Heysel, la sera del 29 maggio 1985 è uno di questi eventi che segnò un punto di non ritorno nella storia del calcio moderno, schiacciato dal peso di 39 morti e oltre 600 feriti. Un mese fa in occasione della commemorazione del venticinquesimo anniversario da un’altra tragedia sportiva, quella di Hillsborough del 1989, l’intera nazione si è unita al cordoglio del Liverpool, società sportive di ogni categoria hanno manifestato con messaggi la loro partecipazione al dolore, un bellissimo esempio di cosa debba rappresentare lo sport, un ponte oltre le rivalità. Ebbene oggi oltre allo stesso Liverpool e alla Juventus, solo un’altra società di Serie A ha avuto la sensibilità di ricordare la tragedia dell’Heysel, nessuna delle altre ha ritenuto di doversi interessare della vicenda. E’ necessario andare oltre le bandiere e i colori, fare un passo avanti nella civiltà perchè lo sport non sia più una guerra.

Davanti all’enorme sofferenza generata dovremmo tutti tenere un silenzioso rispetto, ma purtroppo non è così e nei nostri stadi invece capita di frequente che quella memoria venga ripresa e usata come un’arma per colpire, per offendere o peggio ancora per disprezzare i propri avversari sportivi. Quando sento in uno stadio cori offensivi della memoria di quei morti o anche solo vedo quei drappi di tessuto marchiati con un “-39” provo un profondo dolore perché credo che sia assurdo anche solo pensare a quelle vittime come tifosi prima ancora che come persone.
Persone che avevano ad aspettarli a casa amici e famiglie che non avrebbero più rivisto.
Non erano violenti i supporters bianconeri che occupavano l’ormai famigerato settore “Z”, non erano persone in cerca di casino, erano giovani, vecchi, adulti per la maggior parte in gruppi familiari che avevano deciso di seguire la Juventus nella sua terza finale di Coppa dei Campioni e che dopo aver perso le due precedenti affrontavano quindi la serata di Bruxelles con grandi speranze e aspettative di felicità. Ma niente di tutto questo è mai accaduto e a distanza di ventinove anni resta solo il vuoto e un grande orrore. L’orrore delle grida, l’orrore dei feriti e dei morti, di quelli che cercavano scampo alla ressa in diretta TV. Quell’orrore non lascerà mai la memoria di nessuno di noi.

Recentemente mi è capitato di rileggere il libro di Nick Hornby “Fever Pitch” (Febbre a 90°) e voglio condividere un breve estratto che racconta il suo ricordo di quella sera, di una tragedia assurda ma in qualche misura annunciata da una serie di comportamenti che suonano oggi tristemente familiari anche agli stadi italiani, nella speranza che una tragedia così non accada mai più.
“Ciò che sorprese è che la causa di tutte quelle morti fu qualcosa di tanto innocuo come una carica, esercizio che almeno la metà dei giovani tifosi inglesi praticava, e che non aveva altro scopo se non quello di spaventare i supporter avversari e di divertire chi correva. I tifosi della Juventus non sapevano di questa abitudine, e d’altronde per perché mai avrebbero dovuto? Non conoscevano il complicato comportamento del pubblico inglese, che noialtri avevamo assorbito quasi senza accorgercene. […]
Penso sia questa la ragione per cui quella sera mi vergognai tanto dell’accaduto: sapevo che i tifosi dell’Arsenal avrebbero potuto fare lo stesso, e che se all’Heysel ci fosse stato l’Arsenal a giocare io di sicuro sarei stato là – non nei disordini o a caricare la gente, ma comunque parte integrante della comunità che generava quel tipo di comportamento.
Il gioco da ragazzi che a Bruxelles si rivelò omicida si inseriva chiaramente e con prepotenza in una serie di atti apparentemente inoffensivi ma evidentemente minacciosi – cori violenti, gesti volgari, tutto quell’insieme di stupide smargiassate – a cui un’ampia «minoranza» di tifosi si abbandonava ormai da una ventina d’anni. In breve, l’Heysel fu espressione di una cultura che la maggioranza di noi, io incluso, aveva contribuito a creare. Non potevi guardare quei tifosi del Liverpool e chiederti, come avevi potuto fare con i tifosi del Millwall a Luton, o con i tifosi del Chelsea nella partita di Coppa di Lega: «Ma chi è quella gente?», perché lo sapevi già.”

Andrea Iovene
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