“Scusate, ma che è successo?”- Trama sintetica di una serata storica

“Scusate, ma che è successo?”: ricordate la scena del capolavoro “Così parlò Bellavista”? Ecco, Napoli oggi la immaginiamo un po’ così. Ditelo, raccontatelo, cosa è successo? Ma soprattutto, è successo davvero? Sì, sì, è successo.
Il giorno dopo Napoli-Juventus, anzi no, il giorno dopo che il Napoli ha meravigliosamente battuto la Juventus portandosi a casa la Coppa Italia, la mente del tifoso sta ripercorrendo quei magici momenti.

TRAMA SINTETICA DI UNA SERATA STORICA

Sì, adesso qualcuno dirà che è inutile cadere sempre nella solita retorica del romantico, del detto e ridetto, della rivalità sempre così marcata con la Juventus. Ma alla fine è vero, per l’una e l’altra squadra: la vittoria contro il nemico di sempre ha quel meraviglioso sapore che non ti stancheresti mai di gustare.

Al cavalluccio di legno da esibire in piazza, protagonista della famosa scena del film, oggi i partenopei sostituiscono la Coppa. Perché se la meritano. Più della Juventus. Male Sarri, infatti, ché alla sua grande squadra non si chiedeva necessariamente di superarsi: bastava non perdere, e battere quella da tanti considerata “inferiore”, almeno in un evento così importante, almeno ieri sera. Questa squadra, invece, sembra non essere sua. Se vincere è l’unica cosa che conta, come mai la Juventus dell’ex comandante somiglia, per citare un grande poeta, a una “Nave senza nocchiere in gran tempesta”?

Un Napoli che domina, infatti, e una Juve che non convince. A discapito di quanto pensavano molti, non riesce nemmeno ad avere la meglio sui rigori. Perché stavolta, la stella tra i due pali non è il suo Gigi Buffon, ma una che, con vent’anni di meno, ha saputo brillare di più: Alex Meret.

PEZZO DI STORIA…

Se a volte il Dio del calcio si distrae e fa piangere chi non se lo merita, ieri ha guardato dritto negli occhi di qualcuno, prima quelli lucidi di Ringhio, e poi quelli di tutti i suoi ragazzi. Lo ha fatto perché serviva un messaggio: forte, appassionato, liberatorio. Lo ha fatto, forse, anche per dire a Sarri che probabilmente non basta una rosa di campioni da ingaggi stratosferici; serve, sempre e comunque, imprimere il proprio magico marchio, la propria identità, la propria essenza: e lui forse non ci sta riuscendo. Gattuso, invece, probabilmente sì. E si merita la vittoria. Lo dice il suo sguardo; no, non solo perché ha sofferto e per compassione è giusto così. Se la merita perché si è realmente mostrato superiore: in determinazione, in intelligenza tattica, e soprattutto in cuore.

Analisi, commenti, rimorsi e parole. Fiumi di parole, come è giusto che sia. Ma c’è qualcuno oggi, che è ancora fermo lì: Ringhio che dice che il calcio gli ha dato tutto, le lacrime di Callejon, Koulibaly che abbraccia la coppa, Politano che zittisce la panchina avversaria. Questa è la coppa della liberazione, questa è la coppa del senso di appartenenza che solo il Napoli poteva portarsi a casa con tanta, troppa, passione: quella di sempre. Questo, e tutto il resto, è storia: e gli azzurri ieri sera ne hanno scritto un bel pezzo.

Alessandra Santoro

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