Scoperto iPhone 8 nella cella di Genny ‘a Carogna: guardava le partite del Napoli e si informava sul calciomercato!

Ha davvero dell’incredibile quanto accaduto nelle scorse ore a Gennaro De Tommaso, conosciuto ai più come “Genny ‘a carogna“. L’ex capo Ultras del Napoli si trova infatti nel carcere di Poggioreale dove sta scontando una condanna per droga di 10 anni, ma quello che sorprende – come riferisce l’edizione odierna de Il Corriere del Mezzogiorno – è il fatto che nella sua cella sia stato ritrovato un telefono cellulare di ultima generazione con il quale… seguiva le partite del Napoli e si aggiornava sul calciomercato!

Di seguito l’articolo riportato dal Corriere del Mezzogiorno:

Non poteva resistere all’idea di perdersi le partite del Napoli di Sarri. Aveva saputo, poi, che gli azzurri avevano preso come allenatore Carlo Ancellotti e si interessava di calciomercato, anzi era un esperto. Poi ieri sono iniziati i mondali in Russia, si era già organizzato per poter guardare tutti i match «live». Una cuffia senza fili all’orecchio, caricabatterie portatile e collegamento a internet ultra veloce. Nella sua cella al padiglione Avellino del carcere di Poggioreale aveva creato anche una sorta di call-center: telefonate e messaggi a tutte le ore. Gennaro De Tommaso, al secolo «Genny ’a carogna», era diventato una «leggenda» anche a Poggioreale e qualche volta lo si sentiva canticchiare i cori della Curva A che per anni ha «comandato», quando era il leader dei «Mastiffs», un gruppo ultras storico dello stadio San Paolo.

Ma la polizia penitenziaria aveva capito tutto e così nel corso di un blitz lunedì scorso ha sequestrato il suo prezioso iPhone 8, più altri cinque cellulari che erano nascosti in tre celle vicine alla sua. Lui si è mostrato sbalordito della rapidità dell’azione degli agenti, ma era prevedibile che prima o poi intervenissero per una ispezione: Genny è un personaggio molto noto ma soprattutto molto influente e da qualche tempo, si ritiene da mesi, aveva la disponibilità di un telefono cellulare che qualcuno dei suoi familiari, nel corso di un colloquio, gli ha passato nascosto o nella biancheria o nelle vettovaglie. Dalla cella del padiglione Avellino dove è detenuto dal 16 luglio del 2017 non aveva mai smesso di controllare il suo gruppo criminale.

Questo il sospetto della penitenziaria che ha redatto un lunghissimo verbale e un’annotazione di servizio. De Tommaso è stato spostato in isolamento in attesa della decisione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che a breve potrebbe trasferirlo in un altro carcere, lontano centinaia di chilometri dalla sua Napoli. È accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti perché era riuscito a costruire negli anni un rapporto solido con le organizzazione di narcos del Sudamerica. Così, tra una partita e l’altra del Napoli, faceva arrivare in città tonnellate di hashish e di marijuana che la sua «paranza» di ragazzi vendeva quotidianamente a piazza Bellini e a Forcella. Per lui il pubblico ministero della Dda, Francesco De Falco, ha chiesto la condanna a venti anni di reclusione.

Ma Genny «’a carogna» è salito alla ribalta delle cronache italiane non tanto per il suo arresto di un anno fa, quanto per la «trattativa» che mise in piedi la sera del 3 maggio del 2014 allo stadio Olimpico di Roma. Il Napoli avrebbe dovuto giocare la finale di Coppa Italia contro la Fiorentina, ma nel pomeriggio, a Tor di Quinto, un ultras della Roma, Daniele De Santis, sparò un colpo di pistola contro Ciro Esposito, un tifoso del Napoli morto dopo un mese di agonia. Tra i ventimila napoletani presenti in curva si diffusero voci contrastanti. C’è chi diceva che fosse morto, chi no. Così Genny e il suoi ultras decisero di lanciare in campo decine di fumogeni per bloccare l’avvio della partita. E così fu, fino a quando non ebbero rassicurazioni dal capitano del Napoli Marek Hamsik e dai vertici delle forze dell’ordine: Ciro era ancora vivo. Alzò le mani, placò l’ira dei tifosi e la partita cominciò ma senza tifo e festeggiamenti, perché il Napoli quella coppa la vinse ma con il lutto nel cuore per il ferimento di un proprio tifoso. Per i disordini dell’Olimpico e per la maglietta nera che indossava a cavalcioni sulle balaustre dell’Olimpico e che inneggiava alla scarcerazione di Antonino Speziale, l’ultrà del Catania accusato di aver ucciso l’agente della polizia Filippo Raciti, fu condannato e scontò quasi tutta la pena agli arresti domiciliari a Livorno. Poi la scarcerazione e il nuovo arresto. Allo stadio San Paolo non aveva più rimesso piede perché aveva avuto un Daspo di quattro anni. Ma le partite, quelle le voleva comunque vedere. Pure in carcere“.

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