Italia, 2018

Le regole del quieto vivere, l’uomo, le ha scoperte secoli e millenni fa. Gli accordi di convivenza pacifica sono alla base della civiltà. Perché l’uomo è un animale sociale, ha bisogno di stringere legami emotivi con gli altri. Quando la civiltà manca, latita, però, c’è anarchia. C’è la bestialità. C’è tutto il marcio che l’uomo ci ha mostrato, che il calcio – e sì, limitiamolo solo al calcio questo discorso – ci ha fatto vedere. 

Ci ha mostrato, in una sola giornata, una maxi-rissa in una partita iniziata con il commosso ricordo di Davide Astori. Fiorentina e Cagliari si sono abbracciate emotivamente per poi darsele di santa ragione a un minuto dal termine della partita.

E poi Sampdoria-Napoli, novanta minuti trascorsi all’insegna del coro più intonato dagli italiani: “Lavali, lavali, lavali col fuoco, o Vesuvio, lavali col fuoco!”. Perché andare allo stadio per incitare i propri beniamini è un’azione desueta, appartenente al passato: oggi, meglio insultare. C’è più gusto, forse.

Dalla Sicilia al Trentino Alto Adige, tutta Italia s’unisce in un solo coro: quello contro il Napoli, quello razzista. Che, secondo i vertici del calcio italiano, non ha nulla di discriminatorio. No, meglio declassarlo: sfottò, goliardia. Persino i tifosi delle matricole di Serie A, esenti dalle logiche (quali logiche?) delle rivalità calcistiche, lo intonano a gran voce e con tutto il furore possibile.

È un fenomeno.
Negativo.
Italiano.

È forse lo specchio di un Paese che gode nel farsi la guerra da solo. È un fenomeno presente, vivo, ingombrante. E, francamente, ci ha seccato. Eppure va affrontato a muso duro, un po’ come ha fatto Ferrero. C’è chi invece preferisce voltare le spalle e scrollarle, classificare il tutto come “goliardia”, pensare che a cantare siano “pochi elementi”. No, a Genova (e in tutti gli altri stadi d’Italia) era una curva intera a cantare. Niente cori per la Samp, o per il napoletano (assente) Quagliarella. Solo un’ode al Vesuvio. 

E qualche altro insulto sulle condizioni igieniche dei napoletani.

Le telecamere, fortunatamente, hanno inquadrato i volti dei facinorosi, mentre mostravano a Ferrero il dito medio. Come se in torto fosse il presidente blucerchiato, come se a sbagliare fosse il coraggioso Gavillucci. Ci sono le immagini, i connotati. Ci si augura che fiocchino i Daspo, che a queste persone sia negata la possibilità di mettere piede in qualsiasi stadio di calcio per il resto della propria vita. 

Sarebbe un primo passo verso una rieducazione del Paese.

Forse un giorno qualcosa cambierà, forse allo stadio un bambino non sarà costretto a girarsi in lacrime verso il proprio padre per domandargli: “Papà, perché ci vogliono morti?” 

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