Dalla Samp al Torino, Hamsik è la storia. Marek come Diego, con quella missione da compiere…

Mertens trova la profondità e aggancia con eleganza, verso lo specchio della porta non c’è luce, inutile indugiare. E allora testa alta scorgendo lo spunto dei compagni, protezione della sfera ed un assist dolce ed invitante per una proiezione che tante volte nelle ultime settimane a Marek Hamsik era mancata, come fosse ossigeno per uno come lui. C’è però quell’appuntamento con la storia da afferrare, stavolta senza esitare.

E in quel destro in corsa, potente e preciso, che trova l’incrocio dei pali lasciando immobile Sirigu ci sono tutti, pesantissimi, i due mesi e mezzo a separarlo dall’unica rete in stagione – altra stranezza per un campione che all’esultanza ha sempre dato del tu. A separarlo da quel sigillo numero 115 che significa record nella storia del Napoli, che significa Diego Armando Maradona. È tre a zero al 30′, ma non solo. È un timbro che scandisce una storia meravigliosa, che trascende lo sport e abbraccia la vita. Una vita in azzurro, una vita cucendo quei colori sulla propria pelle senza mai riporli in soffitta.

SULLE ORME DI DIEGO

Immaginare in quell’assolata giornata di luglio nel 2007 una storia simile era difficile. Marek Hamsik approda in azzurro con il benestare del factotum Pierpaolo Marino, ammaliato dalle qualità di quel ventenne tutta classe, intelligenza. E una personalità che va oltre l’anagrafe, un veterano a metà campo. Lui, prelevato dal Brescia dopo due stagioni in cadetteria a ottimi livelli, e dire che il diggì azzurro al tempo vedeva in Milanetto la priorità per la mediana. Ma nulla, in fondo, accade mai per caso.

Tra i fiori all’occhiello di una campagna acquisti chiamata a ridisegnare la spina dorsale di un Napoli finalmente risorto dalle ceneri del fallimento. E se i suoi compagni d’arme più fidati, Ezequiel Lavezzi e Walter Gargano, da tempo hanno abbandonato le rive del Golfo, lui, beh, lui no. Qualche incertezza lungo la strada, un’ovvietà in un tragitto percorso insieme per undici, lunghissime, stagioni. La tentazione rossonera ricacciata senza troppi rimpianti, con buona pace di Mino Raiola. Perché c’è ancora chi giura fedeltà, stride eccome nel calcio degli anni 2000, a certi colori, ad un popolo, ad una città senza mai più lasciarla. Anche se non si è nati alle pendici del Vesuvio, anche se si è nati a 1500 km di distanza.

Da Banska Bystrika a Napoli, con naturalezza. Trovando una seconda casa in cui mettere radici, costruire e crescere, maturare, diventare uomo e padre. Christian, Lucas e Melissa, le sue gemme più preziose. Undici anni anni da protagonista, scalando l’Olimpo della storia partenopea e raggiungendo la vetta, sulle orme e poi dando il fianco al più grande di tutti, spalla a spalla con Diego. Qualche affanno da mettere in preventivo, ma con la consapevolezza di porre all’indice, sempre, valori e qualità che fanno la differenza dentro e fuori dal campo.

DALLA SAMP AL TORINO, ORA…

Sedici settembre 2007- Sedici dicembre 2017. Dalla Sampdoria ai granata, col mancino e poi col destro. Differenza zero. Come sempre, alla Marek. Dal San Paolo all’Olimpico Grande Torino. Due date, un record, il cerchio che si chiude e spalanca numeri da urlo: 115 reti e 110 assist in 477 presenze. Da quella serpentina ubriacante con tocco morbido a seguire contro i blucerchiati alla sassata che schianta definitivamente le velleità degli uomini di Mihajlovic, con tante avventure da raccontare.

Vittorie e sconfitte, gioie e amarezze. Sempre con la stessa maglia, e dall’addio di Paolo Cannavaro con la fascia stabilmente stretta al braccio. Ora un altro record nel mirino, le 511 di Bruscolotti non sono poi così distanti. Ed un chiodo fisso: “La mia missione sarà compiuta solo con la vittoria dello scudetto. Deve essere quello il punto d’arrivo della mia lunga storia con il Napoli”. Una missione da affrontare come sempre, con il solito incedere, a testa altissima. Macinando chilometri e dispensando giocate. In fondo a quel popolo, dopo la fedeltà, c’è un sogno lungo ventisette anni da regalare.

Edoardo Brancaccio

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