Un anno da numero uno: Lorenzo Insigne, da Udine a Udine

Un anno, o giù di lì. Come fosse un attimo, vissuto scacciando – per sempre – l’ingombrante ombra del talento cristallino ma a metà, incostante, a fasi alterne, dalle fiammate improvvise intervallate dal più gelido dei vuoti. Consacrazione, esplosione, maturità raggiunta all’età giusta. Consapevolezza dei propri mezzi. Lorenzo Insigne, oltre il profeta in patria, talento al servizio di sé stesso e della squadra. Stop ai musi lunghi, addio definitivo alle incomprensioni con un pubblico da sempre prodigo nei suoi confronti di quell’odi et amo di catulliana memoria. Idolo indiscusso, con le spalle larghe per reggere il tutto. E per tutto si intende un popolo intero che smania dalla voglia di tornare a vincere, per davvero. Un anno esatto, o quasi, 19 novembre 2016, Udine come crocevia, trampolino verso vette, ancora, inesplorate. Dalle critiche all’esaltazione, due reti per spegnere un digiuno lungo sette, infiniti, mesi. E non fermare più la propria corsa, proprio come quella marcia cadenzata e inesorabile sull’out mancino, gemma più preziosa in una catena di sinistra studiata al dettaglio da Maurizio Sarri. 

La classe, i mezzi, non erano mai mancati. Mancava la scintilla, la capacità di custodirla, quella fiamma. Il nuovo assetto tattico disegnato dal tecnico dopo l’infortunio di Milik meglio di un vestito su misura. La simbiosi con Dries Mertens José Callejon in cui abbinare estetica ed efficacia. Uomo ovunque, perché nel tempo la fase di non possesso ha assunto la stessa, medesima, importanza. Una diagonale al 90′ di gioco come un tiro a giro all’incrocio dei pali. Un anno da protagonista, ovunque. A San Siro come all’Olimpico, passando per l’agrodolce sfida del Bernabeu. Un goal d’autore, biglietto da visita ben in vista nel tempio del calcio mondiale contro uno degli undici più forti di sempre. Perché questa, ormai, è la sua dimensione. Il talento più fulgido che il calcio italiano possa offrire.”Se mi priverei mai di Insigne? La mia storia in questi tre anni ti dice di no”. Parola di Sarri dopo la gara contro il Milan, con il classe ’91 di Frattamaggiore a serrare le fila sbaragliando gli infidi ostacoli che la sosta da sempre serba sotto traccia, quasi nascosti. A maggior ragione se la pausa reca in dote una delusione mondiale. Nulla che possa scalfire la convinzione di chi sa di essere ormai lì, a un passo dall’Olimpo, tra i migliori.

NUMERI DA CAMPIONE

Se non bastano le giocate, gli slalom a perdifiato, le carezze al pallone in ugual misura, di destro e di sinistro. Quei controlli a seguire o quelle battute a rete che irridono, beffarde, i principi della fisica. Allora la parola passa ai numeri, freddi ma spudorati, forieri di un anno solare che attesta una dimensione assoluta, da campione, numero uno. Totale. Imprescindibile, dicevamo, per Sarri. Non per altri tecnici, ma sono dettagli. Titolare ininterrottamente dalla panchina dello Scida del 23 ottobre dell’anno scorso, dopo seguì la sfida all’Empoli. Poi dalla sfida ai bianconeri, quella della svolta, Insigne ha collezionato 54 presenze per 4.525′ totali. Un’eternità intervellata da sussulti, costanti. Poco spazio ai vezzi, che comunque restano e sono concessi, tanta sostanza: 28 reti e 13 assist tra Serie A, Champions e Coppa Italia. Dallo spunto bruciante alle spalle di Widmer al destro al fulmicotone che ha aperto la strada al trionfo contro lo Shakhtar. Pyatov – fino a quel momento impeccabile – annichilito e tre punti che tengono aperta la finestra azzurra sugli ottavi nella massima competizione europea. Nel mezzo un gruppo che crede, fino in fondo, al tricolore: “Il nostro obiettivo è lo Scudetto, ce la metteremo tutta per arrivare primi e lottare fino alla fine”. Al termine della corsa mancherà, purtroppo, un Mondiale ad attenderlo. Ma da vivere c’è qualcosa che per una città intera -e non solo – vale ancora di più. E domenica, ad un anno di distanza, di nuovo la Dacia Arena. Ennesimo spartiacque prima del faccia a faccia al San Paolo contro la Juventus. Sfide alla Insigne, da vivere a testa alta, da campione vero.

Edoardo Brancaccio

 

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