Nuovo anno, vecchio Napoli. Da dove ripartono gli azzurri e come aspirano alla perfezione

Non ha bisogno neppure di ordinare le idee, di prendersi il tempo per sé, per pensare a tutto ciò che c’è da fare. No, il Napoli è un corpo che riflette e agisce in automatico. Non avverte le necessità dei comuni mortali: i movimenti, i gesti, persino le parole, vengono e riescono in automatico.

Non ha bisogno di ordinare le idee, il Napoli, perché le proprie idee le ha ben salde in mente. Sono ormai consolidate, accompagnano i calciatori nel loro vissuto quotidiano. Pare infatti che Callejon sia stato avvistato mentre tentava il suo consueto taglio alle spalle delle casse del supermercato.

Ponendo un bando alle ciance e accantonando la goliardia, si torna sulla terra del pallone. Anzi, sul terreno. Quello del campo da calcio, quello disastrato (colpa di Robbie Williams) di un Bentegodi conquistato dal Napoli. Signori, si riparte. Bentornato campionato. E al semaforo verde Mertens e compagni sono scattati alla perfezione, come un’unica monoposto che s’è affiancata a quei campioni iridati della Juventus.

Riparte da dove aveva concluso tre mesi fa, il Napoli. Nel bene, tanto. Nel male, quel pizzico che non manca mai. Non è un nuovo Napoli e forse è anche meglio così: quello che era rimasto beffato a Genova (e a Roma) aveva terminato con l’amaro in bocca una cavalcata troppo straordinaria per restare incompiuta. E quindi si riparte, si accendono i motori con quel senso di continuità che piace, piace tanto. Non si è interrotto nulla, il fuggi fuggi del mercato è stato scongiurato, le entrate si contano sulle dita di mezza mano.

A dire il vero qualcosa di nuovo c’è: Milik, che s’è scrollato di dosso un bel po’ di critiche dopo l’erroraccio nel finale di Napoli-Nizza. E Ghoulam, che alla centesima in Serie A brinda come meglio non poteva: la sua prima rete in maglia azzurra lascia sorpresi persino i compagni in campo.

E in questo tran tran il campo continua a parlare da sé e a far parlare gli azzurri. Che intanto fanno la voce grossa, battono il Verona in modo celere e sontuoso, ma concedono i soliti peccatucci di gioventù. Stavolta è Hysaj ad atterrare un avversario a pochi passi dalla porta. In sequenza: rosso, rigore, goal, sofferenza. Non sarebbe il vero Napoli senza quel piccolo batticuore finale.

Mentre il tifoso medio s’interroga sul perché di queste ripetizioni, da un piano filosofico verrebbe da pensare che forse sia meglio così. Il Napoli sembra aspirare alla perfezione, talvolta tocca quell’apice in alcuni frangenti della partita, altre volte costringe i tifosi a mettersi le mani fra i capelli. Quella sensazione di incompiutezza forse è un bene: dà a Mertens, Insigne, Hamsik, Callejon e compagni qualcosa da continuare ad inseguire. Che sia la Juventus o la bellezza totale.

Vittorio Perrone

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