Sepe e la condanna di chi non può essere profeta in patria

All’interno delle Sacre Scritture, nonostante queste ultime risultino essenzialmente testimonianza di un’epoca antica ed ormai irripetibile, è possibile ritrovare un cospicuo numero di massime ed insegnamenti perfettamente applicabili alla modernità. Tra questi lasciti immateriali, senza ombra di dubbio, spicca piuttosto facilmente una frase che richiama una forte connotazione geografica: “Nemo propheta in patria est”, ovvero “Nessuno è profeta in patria”. L’espressione, tutt’oggi largamente utilizzata, indica generalmente la difficoltà di un individuo ad emergere in ambienti ad esso particolarmente familiari come, ad esempio, la propria terra natìa. Una condizione potenzialmente critica per il soggetto in questione che, di conseguenza, tenderà ad allontanarsi dalla propria patria alla ricerca di un ambiente che, per motivi mai realmente precisati, risulterà essere sempre più tollerante del precedente. Ebbene, per quanto possa sembrare fuori luogo, questa stessa condizione, con i dovuti parallelismi, è riscontrabile anche nel duro mondo del calcio moderno e, più nello specifico, in realtà sportive così ben consolidate come il Napoli.

Basti pensare, in questo senso, alla paradossale situazione di Luigi Sepe, estremo difensore azzurro e partenopeo fino al midollo che, tuttavia, proprio non riesce a farsi strada nell’intricata gerarchia dei portieri stilata dal tecnico Maurizio Sarri che, di fatto, lo vede ultimo alle spalle rispettivamente di Reina e di Rafael. A prescindere dal fatto che la suddetta condizione possa essere figlia di un ruolo delicato ed ampiamente sottovalutato come quello del portiere, di una precisa scelta tecnica da parte dell’allenatore o più semplicemente del caso, risulta comunque piuttosto sorprendente ricordare come il giovane estremo difensore partenopeo, all’attivo, possa vantare una sola presenza con la casacca del Napoli: una presenza, tra l’altro, decisamente datata, in quanto è stata registrata nel lontano gennaio del 2009 in occasione della trasferta con la Fiorentina, quando un poco più che diciassettenne Sepe debuttò a gara in corso in sostituzione dell’infortunato Gianello. Terminato il ciclo delle giovanili azzurre, il calciatore ha avuto la possibilità di confrontarsi prima con la Lega Pro, indossando la casacca del Pisa, e successivamente con la realtà altamente competitiva della Serie B, disputando due ottime stagioni da titolare rispettivamente a Lanciano e ad Empoli. Nel 2015, tuttavia, con il passaggio in prestito alla Fiorentina, inizia ufficialmente la parabola discendente del portiere che, mai utilizzato in campionato, deve accontentarsi di una presenza in Coppa Italia e di 6 presenze in Europa League, prima di accasarsi nuovamente al Napoli ed accomodarsi stabilmente in panchina. Condizione destinata a durare almeno fino al termine della stagione corrente.

L’intenzione di Sepe, infatti, percepita una certa ostilità verso la propria crescita presso l’ambiente partenopeo, sarebbe quella di concludere definitivamente la propria esperienza al Napoli, sensazione confermata recentemente anche dal proprio agente: “Per vari motivi ha giocato pochissimo negli ultimi due anni. Io lo reputo un giocatore di grandissimo livello e, per questo motivo, il prossimo anno andrà via”. Una dipartita che, qualora dovesse realmente concretizzarsi, rappresenterebbe allo stesso tempo una sorta di liberazione per il giocatore ed una piccola sconfitta per la società, rea di non essere riuscita a valorizzare un patrimonio potenzialmente importante. Perché nessuno può essere profeta in patria quando è la “patria” stessa a voltargli le spalle.

 

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