Cavani si racconta: “A Napoli tre anni incredibili, avevo paura di deludere i tifosi. PSG? Ogni calciatore in vita sua vuole vincere”

L’attaccante del PSG, Edinson Cavani, ha rilasciato una lunga intervista a David Trezeguet sui canali di Premium Sport per il programma “Nove – Storie di bomber”. Tanti i passaggi che hanno riguardato il Napoli e la sua esperienza nella città partenopea. Ecco quanto evidenziato dalla nostra redazione.

Si parte dalla sua infanzia: “Quando fai una certa età devi iniziare a capire cosa vuoi fare da grande. Ricordo che da bambino avevo il gol nel sangue, quando sei un attaccante lo senti. Il mio primo modello è stato mio fratello (anche lui attaccante, ndr), e ho fatto i primi passi guardando lui.

Quando sono passato al Palermo sembrava tutto diverso, era il sogno della mia vita. I campionati europei sono il sogno di ogni calciatore sudamericano. Al Palermo ho passato tre anni bellissimi, all’inizio non giocavo tantissimo, cambiavamo sempre allenatore. Poi l’ultimo (Delio Rossi, ndr) mi diede fiducia e iniziai a giocare in coppia con Fabrizio Miccoli e segnai 14-15 gol.

Il trasferimento dal Napoli al PSG? Ero in camera con Gargano in Nazionale quando mi chiamò il mister Walter Mazzarri. Sentivo la sua fiducia. Parlammo tanto e mi fece capire che ero pronto per un top club, in quella occasione capì che era arrivato il momento di andare via. A Napoli sono stati tre anni incredibili, quando arrivai c’erano tantissimi tifosi che mi aspettavano. Li guardai e pensai ‘Mamma mia! Sarò all’altezza di tante aspettative?’. Sono rimasto nel cuore dei napoletani, ma il paragone con Diego (Maradona, ndr) è impossibile, a Napoli è un re. L’affetto della gente alla fine era diventato addirittura troppo, ma ho ricordi che mi legano al Napoli, alla città. Lì è nato anche mio figlio Bautista, ci resterò legato per sempre“.

Poi si passa al PSG: “Ci sono momenti della tua vita dove decidi che è il momento di cambiare. Non è solo il calciatore a decidere a volte. A volte lo si fa per altri aspetti, anche familiari. Io capì che era il momento di fare questo grande passo, andare in una squadra piena di campioni. Mi resi conto che il PSG era la destinazione ideale. Tutto il movimento senza palla che faccio? Gli attaccanti devono segnare, ma io sento dentro di me che per segnare devo anche lavorare. Se non lavoro non mi sento ok e non segno. Noi attaccanti dobbiamo sapere che alle nostre spalle c’è sempre bisogno del nostro aiuto, anche se poi gli attaccanti vengono sempre giudicati dai gol che fanno.

La lingua quando cambi paese? È fondamentale, ti fa capire tutto. Fortunatamente noi uruguayani ci adattiamo dovunque. Sono un ragazzo che è rimasto molto legato alla sua famiglia e al suo paese. Il difensore con cui mi piaceva scontrarmi? Senza ombra di dubbio Giorgio Chiellini. È un difensore forte, tosto. Il vero difensore italiano, con lui erano sfide incredibili. Il portiere che mi ha più impressionato? Ho lavorato tanti anni con Morgan De Sanctis, lui era fenomenale pure in allenamento, non voleva mai prendere gol. Ho una stima immensa per lui, mi ha fatto crescere tanto. Non voleva mai andare via dal campo di allenamento. Poi se parliamo di livello mondiale credo che Buffon sia il numero 1, ma io vedo anche altro. E per me De Sanctis è stato il migliore in assoluto.

L’obiettivo della mia carriera? Non è vero che i calciatori non vogliono vincere. Ogni giocatore che arriva ad un certo livello vuole alzare trofei importanti: per me sono il Mondiale e la Champions League. C’è però da dire che ogni calciatore deve guardare la propria carriera e sapere di aver fatto il massimo, senza rimpianti. La fede? Senza fede non si cammina nella vita. Ma non si tratta solo di qualcosa di spirituale. Bisogna avere fede negli amici, nella famiglia, nei compagni. Senza la fede non si può vivere in maniera serena. Il soprannome Matador? Ne ho avuti tanti in carriera, il Matador mi fu dato a Napoli e mi è rimasto appiccicato, forse perché mi vedevano come uno stoccatore (ride, ndr)”.

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