Elogio alla meritocrazia

Panchina d’oro, allenatore dell’anno. Tanto gusto, parole sue, per Maurizio Sarri. Poco incline agli elogi, ai facili entusiasmi, ma quando il riconoscimento arriva dai colleghi tutto assume un contorno differente.

Senza rivangare nel solito, azzeccato, giusto, ma ormai troppo spesso riproposto, refrain. Senza citare Stia o Sorrento, Faellese o Sansovino, indiscusse croci al merito per un tecnico venuto da lontano, che della gavetta ha fatto la sua forza. Ma semplicemente ritornando a quando, tre anni orsono, da tecnico dell’Empoli gli veniva consegnata un’altra Panchina, quella d’Argento. Beh, chissà se Sarri avrebbe mai lontanamente immaginato tutto questo. Probabilmente, se riferito, nel più classico dei paradossi temporali avrebbe liquidato la discussione con il suo solito fare spontaneo e scanzonato, un po’ come quando Samuel Eto’o si definì onorato di conoscere Maurizio Sarri: “Ma che mi stai pigliando per il culo?“. E invece no, è realtà tangibile al tatto, proprio come quel premio. L’elegia a quanto fatto in una stagione, la scorsa, vissuta oltre ogni aspettativa. Superando momenti difficili e raggiungendo a poco a poco l’apoteosi, la sua apoteosi. Tutto sottoscritto da quanto fatto in quella in corso, perché confermarsi è sempre l’onere più gravoso da sopportare. In un’annata ancora da vivere e approfondire nei dettagli, quelli fondamentali.

Oltre un anno e mezzo vissuto al massimo, senza mezze misure. Senza mai tradire sé stesso, anche a costo d’incappare in qualche errore, perché l’ha sempre detto: “Sarebbe tornato in banca”. Fedele ad una linea mutuata nel tempo, impreziosita, migliorata con studio, applicazione. Vivendo il calcio 24 ore su 24, sette giorni su sette. Maniacale, in quella mistura irresistibile di scienza e romantiscismo. Tratteggiando il suo modo di interpretare il calcio, unico e così poco italiano. E imponendolo prima alla Serie A, conquistata nel tempo, fino all’Europa. Rivitalizzando un bomber alle corde dopo un’annata ricolma di smacchi e colpi sotto la cintura, regalandolo alla storia del calcio italiano. Per poi, sentendosi tradito ma solo per poco, sostituirlo senza colpo ferire. Regalando a se stesso, e alla storia, quel cruccio di demolire record su record sulla panchina della sua squadra del cuore. Quella che ai tempi d’oro ammirava e studiava. Un alloro che è, insomma, elogio alla meritocrazia, sostantivo di cui questo Paese troppo spesso disconosce il significato, superando di un’incollatura un grande tecnico come Massimiliano Allegri, autore di una stagione eccezionale. Con attestati di stima reciproci e genuini, senza alcuna facciata. Tempo di gratificazioni, ma solo per un istante, non di più. Testa subito al campo. Lui, in fondo, è fatto così. E c’è un futuro tutto da raccontare…

Edoardo Brancaccio

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