Il Napoli e l’arte dell’approccio

La partita della verità. L’aveva definita così Maurizio Sarri, nella conferenza pre-gara, la sfida con Il Palermo. Un banco di prova per saggiare il grado di maturità del suo Napoli. Fallito, questa volta. C’è stata sfortuna sì, ma anche superficialità. Proprio quella che il mister temeva fortemente. Una squadra che ha iniziato a guardarsi allo specchio e a conoscersi, nel bene e nel male. Ma forse si riflette troppo, fin quasi ad innamorarsi di sé stessa. Ed è lì che perde la furia che invece dovrebbe sempre contraddistinguerla.

Mentalità. Un processo lungo e dispendioso, soprattutto se i nuovi interpreti sono quasi sempre poco abituati ai grandi palcoscenici e alle pressioni perenni. Non sarà mai un cammino lineare, ma più una lezione di zumba con movimenti non proprio intuitivi alla prima esperienza. Negli ultimi tempi gli step in avanti sono stati evidenti: cinismo e consapevolezza nei match fondamentali in trasferta (Benfica prima, Milan poi); la capacità di soffrire senza dover necessariamente cedere; i 3 punti agguantati all’ultimo respiro. Si è parlato di un Napoli finalmente sporco e non solo affascinante. Ma sul più bello, quando si alza l’asticella delle aspettative, aumentano le probabilità che questo gruppo finisca per inciampare. Battute a vuoto quasi ridondanti che riappaiono puntualmente quando ormai sembravano accantonate.

L’approccio ad ogni partita da parte degli azzurri, specialmente se si incontrano medio-piccole, appare troppo spesso leggero. Perché poi, parliamoci chiaro, è vero che partite come quelle di domenica sera sono indirizzate dagli episodi e difficilmente ripetibili. Vero che se uno tra Callejon e Insigne non avesse divorato occasioni clamorose sarebbero cambiate storia e valutazioni. Ma se ci si ritrova a rincorrere, qualcosa inizialmente non è andato per il verso giusto. Togliendo le milanesi e pochi altri casi sporadici, il Napoli quest’anno non è mai andato a segno nei primi 15-20 minuti. Anzi. Gli inizi di gara al piccolo trotto, oltre ad essere giocoforza improduttivi, hanno talvolta provocato situazioni di svantaggio alle quali poi non è detto che sia sempre agevole rimediare. Fa male dirlo, ma gli avvii cattivi e dirompenti di Juventus e Roma, chiunque sia l’avversario al loro cospetto, hanno come conseguenza quella di alleviare le preoccupazioni per il prosieguo del confronto. I partenopei devono imparare ad aggredire gli avversari con ritmi alti e fame di gol sin dagli albori. In fondo, le regole di base della “posteggia” le abbiamo introdotte noi: sedurre con arte, senza cincischiare troppo. Solo in tal caso le sfide sulla carta meno impegnative possono tramutarsi in autentiche formalità.

Umiltà e cattiveria. Queste le condizioni indispensabili per accostarsi a qualsiasi incontro con lo stesso spirito, sin dal 1’. L’umiltà di non vedersi aggiudicata la palma della vittoria solo per manifesta superiorità. Meritarla sul campo, dimostrando qualità caratteriali prima che tecniche. Meritarla anche fuori dal campo, dove scagliarsi come ha fatto Sarri contro il gioco difensivista di club disperati è parso quanto meno eccessivo. La cattiveria, invece, la leggiamo nei numeri: il minor numero di sconfitte in serie A, ma troppi pareggi se paragonati alle altre big del campionato. Ciò vuol dire non avere ancora quel fuoco dentro che ti spinge a conquistare con rabbia le partite più spigolose. Occorre qualche altro salto nella melma per capire che qualche inestetismo a volte giova. O ci si diverte a restare nella memoria altrui come una bellezza incompiuta?

La stazza e l’aspetto da gladiatore di Pavoletti saranno funzionali proprio a questo tipo di battaglie. Deve esserci simbiosi, però, con meccanismo ormai ben oleati. Perché quando la questione diverrà complicata, ci aspettiamo che la risolva lui. Come l’anno scorso faceva puntualmente chi appariva come un condottiero e ora va dal parrucchiere ogni due giorni per tenere la barba in ordine. Come un attore teatrale. Sì, ma di quelli di basso rango. Ma lasciamo perdere. Con lui e la banda del buco ci rivedremo molto presto. E fino a quel giorno, o meglio quei giorni, si spera che il nostro approccio abbia assunto le sembianze di un felino. Graffiare per primi, tra febbraio e marzo, è l’unica arma per evitare di essere sbranati.

Ivan De Vita

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