Lorenzo e Marekiaro, napoletani si nasce?

Cantano. Cantano per corteggiare le donne con suoni soavi. Cantano di notte, quando gli altri uccelli riposano, affinchè il messaggio lanciato imbavagli il silenzio e lo trasformi in veicolo. Sono gli usignoli, romantici passeriformi che colorano il buio di note d’amore. Le loro melodie, nella storia della letteratura, sono state spesso accostate alla raffinatezza dei poeti. A Napoli, sotto i riflettori di un sabato qualunque, Lorenzo Insigne e Marek Hamsik hanno schiarito le ugole e inebriato i cuori esibendosi dai ramoscelli di un San Paolo fin troppo autunnale. Tutti conoscono il loro fascino, ma a volte solo lo splendore di un gesto sa rinnovare l’incanto di uno spettatore. Come fosse un qualsiasi esemplare femminile, prezioso e pretenzioso.

Fieri di te…Napoletani si nasce. Il Magnifico raffigurato accanto al Castel dell’Ovo. Mega striscione dedicato al fantasista di Frattamaggiore dal settore Distinti che spiega a chiare lettere con chi si schierano i tifosi. Un timbro d’appartenenza, ma anche un monito a chi talvolta smarrisce questo legame inseguendo il vile Dio Danaro. Non è stato un ottimo inizio di stagione per Lorenzo, annichilito dalla furia di Dries Mertens e dalla sterile querelle estiva a sei zeri. Ma i figli “so piezz e cor’”: nessuno meglio di chi li ama sa scuoterli se intorpiditi o coccolarli se in preda alla tristezza. Con Insigne, criticato anche aspramente nelle scorse settimane, si è preferito agire con i guanti dorati. Perché quei 163 cm sono carne troppo pregiata per lasciarla ammuffire su uno scaffale in cucina. Poche parole per rinnovare la propria riconoscenza, nella speranza di scatenare un’emozione. E quella chioma fastidiosamente appariscente, finalmente, ha luccicato come dovrebbe.

Nei primi 45’ l’attaccante napoletano scivola via come una tavola da surf sulle onde in tempesta. Ritmo, cuore, qualità. Un acuto dopo l’altro per scandire l’eleganza di un solista nuovamente padrone della scena. Attivo, scattante, stoccatore e, per non farsi mancare nulla, anche un po’ egoista. Ma soprattutto assist-man. La parabola disegnata per la testa di Callejon è un tripudio di musica e colori, un invito a cena a cui non puoi rifiutare. E accorrono tutti, compresi i pochi impavidi che assiepavano gli spalti di Fuorigrotta. Deo gratias, Insigne è tornato tra di noi. Neanche il tempo di masticare questo dolce pensiero e il suo diabolico alter ego torna ad impossessarsi di lui. Entra nel secondo tempo svogliato, impreciso, carico di tensione e incapace di reggere il confronto con le sue paure. Come se avesse venduto il suo arcobaleno al diavolo. Al buio, ancora. Ma senza alcuna forza per emettere suoni. Una forza che ha però parzialmente riacquistato con le sue parole davanti ai microfoni. Con il desiderio sbandierato di rimanere a Napoli si riavvolge allo stendardo mostrato ad inizio gara. Poi quelle parole di comprensione ed incoraggiamento per Gabbiadini, malgrado le scaramucce tra i due in campo. Segni di maturità che ora attendono conferma. Perché quell’Insigne moccioso e ribelle deve essere un ricordo del passato.

Maturità, dunque. Quella che va sfogliata lettera per lettera. Partita dopo partita. E pretende tanto, più di tua moglie in un centro commerciale. Una battaglia continua per gli azzurri, che potrebbero ricevere un gran bel supporto dalla componente personalità. Troppi black-out in questo inizio di stagione, per fortuna riassestati giusto in tempo. Ma vanno analizzati e curati, per evitare di svenire ancora. Magari nel bel mezzo di un’autostrada. Fin quando i valori non si ristabiliscono, però, è d’obbligo raschiare il barile dell’esperienza e del carisma. Ci ha provato a farlo Insigne, napoletano di nascita. Poi tocca a quelli “acquisiti”. Pepe Reina, con un solo braccio proteso e “arreso”, non è bastato. Anzi ne è uscito con le ossa rotte. Eppure, quando la luce sulla squadra si è spenta Partenope pareva sprofondare negli abissi, all’improvviso un canto ha squarciato la quiete. Si è disperso nell’etere partendo dalla linea del fallo laterale e attraversando un nuvolo di gambe e sguardi attoniti. La traiettoria indovinata da capitan Hamsik, impreziosita dalla carezza dell’uomo venuto dall’Est, ha confutato ogni assioma geometrico. Ecco cosa vuol dire avere uomini che sanno fare la differenza. Banale confondersi con le giocate degli altri: loro agiscono quando tutti (colpevolmente) dormono. I fuoriclasse sono soprattutto questo. A volte girovagano senza meta, lo stesso marcato senso di responsabilità li rende pesanti, invisibili. Riappaiono nei momenti cruciali. E piazzano lo scacco matto. Marek, figlio adottivo di questa città, è il bersaglio preferito di tante imprecazioni per la sua scarsa vena da leader. 10 anni a corrente alterna. Un attimo, una mossa. E la consapevolezza che solo le voci più armoniose scavano nell’essenza del creato.

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Carta d’identità o sangue infetto. Non è mai stato chiaro se napoletani si nasce o si diventa. In realtà lo si può essere anche a chilometri di distanza senza averlo mai saputo. È un ars vivendi, una sfaccettatura dell’essere. Prima o poi, nel protrarsi della vita, ne appariranno i sintomi inconfutabili. Mitologici come gli usignoli canterini. Poetici come i versi recitati da Insigne e Hamsik. Quando calano le tenebre, quando si perde traccia di ciò che si era meticolosamente costruito, resta la magia. E tutto si ricongiunge. Dando senso anche ad un sabato sera qualunque.

Ivan De Vita

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