A Roma come a Torino: quando il Napoli stacca la spina

Sembra una maledizione. Forse lo è davvero, perché a Napoli si è scaramantici e allora spesso bisogna dire addio al raziocinio. D’altronde come si potrebbe mantenere la testa sulle spalle dopo una sconfitta come quella arrivata a Roma? Dopo una partita che, con un po’ di convinzione in più, il Napoli avrebbe potuto vincere? No, non si può. Allora bisogna per forza pensare a una maledizione, perché in fondo non è un caso isolato: a Torino, in quel maledetto 13 febbraio, è successa esattamente la stessa cosa. La verità è che non è necessario tirare in ballo le maledizioni per giustificare le sconfitte dello Stadium e dell’Olimpico: semplicemente il Napoli ha staccato la spina in entrambe le circostanze, convinto di aver acquisito il risultato.

Il pareggio che avrebbe permesso agli azzurri di preservare la vetta a febbraio, lo stesso segno X che avrebbe tenuto la Roma a distanza di sicurezza. E invece no. Invece, per ora, è di nuovo tutto in discussione, perché il campionato del Napoli non sembra conoscere fine. Vietato rilassarsi, vietato abbassare la guardia: è successo troppo spesso. A Torino come a Roma, la dimostrazione che in questo ambito bisogna fare ancora molti progressi. Perché questo Napoli non ha la capacità di addormentare le partite e condurle in un porto sicuro. No, questo Napoli è una macchina che non si deve spegnere mai ma deve continuare a correre fino alla fine. E allora no, il secondo posto va ancora conquistato, perché il finale di campionato potrebbe riservare a Higuain e compagni tragiche sorprese.

Appannamento fisico e mentale e il piatto avvelenato è servito, da Zaza prima e da Nainggolan poi, quasi due schiaffoni volti a risvegliare il Napoli dal suo torpore incantato, dalla convinzione che il campionato sia finito. Decisiva, poi, l’inesperienza di un gruppo non abituato in tutti i suoi componenti a vincere e a lottare per le posizioni che contano. Quasi una sorta di mancanza di mentalità vincente, quella che si acquisisce soltanto con l’esperienza, non con la pratica. Perché vincere aiuta a vincere, in certi casi anche a dimenticare. E, forse, ad insegnare che le partite non finiscono finché l’arbitro non fischia tre volte.

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